Il cardinale Scola ha fatto tappa, per la sua Visita Pastorale “feriale” nel Decanato di Azzate, in Zona II-Varese. Ai tanti laici e sacerdoti presenti all’Assemblea, l’Arcivescovo ha richiamato la necessità di giocarsi in prima persona in ogni ambiente. «È la forza che ci chiede il nostro tempo», ha detto
di Annamaria BRACCINI
Il Decanato più piccolo della Zona di Varese, con una Comunità pastorale – formata da cinque parrocchie – due Unità, tre parrocchie la prima e due la seconda, e una parrocchia singola, per un totale di circa 27.000 abitanti
È il Decanato di Azzate dove, nel Cine Teatro Castellani della cittadina omonima, inizia la Visita Pastorale del cardinale Scola con un corale segno della croce e uno scambio di pace.
Il Decano, don Angelo Cavalleri, fa gli onori di casa e dice, con una famosa frase di Antoine de Saint Exupery, «Ciò che rende bello il deserto è trovare un pozzo. Eminenza, ci aiuti a trovare questo pozzo».
Un pozzo dissetante, una fonte per vincere la sete di senso nel deserto del nostro tempo che ben esprime la ricerca che lega, come un filo invisibile, ma fondamentale, l’intreccio della riflessione dell’Arcivescovo così come il successivo confronto tra domande e risposte. Un incontro dove a «far da padrona non è la dialettica, ma il dialogo, camminando insieme verso il mistero inafferrabile della realtà, con una critica costruttiva e un atteggiamento di confessione», spiega subito Scola che racconta di aver pensato di aprire l’Assemblea, appunto, con la recita del Confiteor.
«Un secondo elemento – aggiunge – è l’articolazione in tre fasi della Visita pastorale che entra nell’oggi e si attua in un primo momento che è questo che stiamo vivendo, in un secondo, con la capillarizzazione dell’analisi degli elementi emersi e delle necessità sul territorio e nel terzo step che, sotto la guida del Vicario generale coadiuvato dai sacerdoti, porterà all’individuazione del passo da compiere concretamente».
E questo per tentare di superare quella frattura tra fede e vita già identificata, a metà degli anni Trenta a proposito della cultura, dal giovane Montini e ora diventata drammatica, in questo che è un cambiamento di epoca e non un’epoca di cambiamenti, per usare le parole di Papa Francesco al Convegno Ecclesiale di Firenze.
Da qui la necessità di affrontare il quotidiano con il pensiero e la mentalità di Cristo, «ciò che ora manca e che rende non affascinante seguire il Signore, con il rischio che, usciti di chiesa, ragioniamo assumendo solo posizioni dominanti imposte dai media».
Poi, le domande: Maria, universitaria a Milano, chiede come orientarsi tra tanti coetanei estranei al Cristianesimo e cosa fare se si abbandona la propria casa e gli ambienti consueti di vita; Luigi, operatore Caritas nel Decanato, segnala nella ricerca attiva di un’occupazione, l’“anello debole” della seconda fase del Fondo Famiglia-Lavoro.
Per entrambi gli interrogativi, l’avvio dell’Arcivescovo è un invito a prendere atto di ciò che accade. «Il cristianesimo è realista, perché intende essere aderente alla realtà e accompagnarla, in quanto siamo figli di un Dio incarnato che vuole essere via alla verità e alla vita, come dice Sant’Agostino. La realtà è, in ultima analisi, guidata da Dio e Gesù ci insegna il modo con cui stare dentro alla storia. Dobbiamo assecondare la realtà con lo spirito della mentalità di Cristo, rischiando ciò che ci sta a cuore. È la persona che deve comunicare, con il suo stile di vita e attraverso la condivisione dei bisogni degli altri, la bellezza e la verità della fede».
In altre parole «tutto si gioca in noi e nella solidarietà, per il fatto di avere in comune Gesù». E laddove, come accade molto spesso, ci si trova in ambienti nei quali vi è ignoranza e disinteresse di Cristo «occorre rovesciare la posizione: non partire dall’esterno, dagli “ambienti”, appunto», ma da noi stessi «approfondendo la fede per trovare l’energia di comunicarla senza pretese, spontaneamente».
«Per questo la parrocchia è il pozzo nel deserto, il punto sorgivo, perché siamo un “io in relazione”. Se credo che ci sia qualcosa oltre la morte, vivo gli affetti, il lavoro, il rapporto con i beni in modo diverso e lo comunico. È la forza del soggetto che viene domandata dal nostro tempo, perché che la fede cammina per convinzione e non per convenzione. Qualunque sia il contesto in cui viviamo, il soggetto si può sempre porre».
Uno “stile” che vale anche considerando il Fondo, per cui il Cardinale nota: «Nella seconda fase avevamo già intuito la necessità di rinvenire posti di lavoro, ma poiché la risposta dal mondo imprenditoriale era stata molto limitata, ci siamo orientati più sul microcredito e la formazione: adesso, nella terza fase, stiamo pensando a mettere in contatto il mondo dell’imprenditoria con chi ha necessità. Questa è, certamente, la strada anche perché la ripresa – che forse non è quella che ci dicono i politici –, soprattutto non crea posti di lavoro. Il Fondo è un’occasione straordinaria e speriamo di potenziarlo».
Il riferimento, per tutti, è a uno dei quattro “fondamentali” della Chiesa delle origini descritto in Atti 2, 42-48 e attualizzato nella Lettera “Alla scoperta del Dio vicino”: l’educazione al gratuito che non «possiamo delegare».
«Si tratta di proporre questa educazione in una ripetizione dei gesti, anche semplici, di vicinanza al bisogno. Affrontando il quotidiano con buonsenso si impara ad amare e così un soggetto comunitario diviene creativo, perché la creatività viene solo dal nesso tra amore e intelligenza».
Ancora arrivano domande: Claudio, che con la moglie Monica fa parte della Commissione decanale per la Famiglia, chiede del Sinodo e delle famiglie ferite; Chiara, si interroga sull’Iniziazione cristiana.
«Il clima del Sinodo è stato di fraternità molto bella e i media non lo hanno comunicato abbastanza», spiega il padre sinodale Scola che ha partecipato al Circolo Minore Francese Due.
«Il tema primo del Sinodo non sono state le famiglie ferite, ma la questione della famiglia come soggetto dell’evangelizzazione. Occorre trovarsi tra famiglie e, partendo dal bisogno, dialogare, sostenersi e giocarsi non in astratto, perché non esiste la categoria dei divorziati e separati, ma la persona e questo vale anche per gli omosessuali. Al Sinodo, relativamente ai separati, divorziati e risposati, sono emerse delle proposte, tenendo ferma l’indissolubilità del matrimonio. Attendiamo la relazione finale del Santo Padre e l’insegnamento del Magistero, ma è chiaro che coloro che si trovano in tale condizione possono vivere fin d’ora in maniera molto intensa la vita regolare della Comunità anche se, per il momento, non possono accostarsi alla Comunione sacramentale. Per le famiglie ferite – nella Lettera pastorale “Educarsi al pensiero di Cristo” sono descritte ben diciotto modalità per vivere la famiglia come soggetto – dobbiamo assumere un atteggiamento di condivisione».
Infine, l’Iniziazione cristiana per cui si tratta di «superare il troppo facile lamento, registrando che ancora i genitori portano i figli a frequentare la preparazione ai Sacramenti».
«Partiamo da questo dato, toccando il cuore dei bambini e dei loro genitori che comunque vogliono loro bene, anche se sono separati, perché i figli in questa situazione soffrono moltissimo e sono i più dimenticati. Se non si propone un centro unificante, se non si sperimenta l’unità dell’io, non ci si educa e non si educa. Per questo vogliamo una Comunità educante che favorisca l’unità. Se non facciamo questo passo il rischio è di campare unicamente di rimpianti e di lamenti. E chi volete che venga in un posto così? La Chiesa è il luogo in cui vivere, liberi dall’esito, rapporti, intelligenti e perciò creativi».