In dialogo con i fedeli, l’Arcivescovo ha dato avvio alla Visita pastorale nel Decanato: «Occorre saper comunicare la fede partendo dalla concretezza dei luoghi nei quali si è chiamati a vivere»
di Annamaria BRACCINI
È un territorio di antichissimo insediamento cristiano, quello in cui il cardinale Scola fa tappa proseguendo nella sua Visita pastorale feriale. Protagonista della prima assemblea ecclesiale del 2017, nel Cinema Italia gremito fino alla balconata, è il Decanato di Somma Lombardo (Zona pastorale II – Varese): una realtà nata nel 1972 dalla fusione di tre storiche Pievi, che conta oggi circa 47 mila abitanti e nella quale il cambiamento d’epoca è visivamente segnato dall’aeroporto di Malpensa. «Questa parte delle suo gregge chiede di essere confermata nella fede», dice il decano don Stefano Venturini salutando l’Arcivescovo, cui sono accanto il Vicario di Zona monsignor Franco Agnesi e il parroco di Somma don Basilio Mascetti.
L’intervento del Cardinale
«La Visita è un adempimento previsto dal Direttorio dei Vescovi, un “faccia a faccia” del Pastore con il suo popolo da cui deve nascere un ascolto fecondante che permette una vitalità nuova e più piena, implicante un atteggiamento di umiltà e di confessione, simile a quanto facciamo quando ci accostiamo al Sacramento della Riconciliazione», chiarisce subito il Cardinale, che poi indica lo scopo della Visita: «Il giovane Montini già alla metà degli anni Trenta intuì che la cultura italiana ed europea avevano voltato le spalle a Gesù e, arrivato a Milano come Arcivescovo, decise di fare la Missione cittadina nel 1957, per superare la tragedia della frattura tra fede e vita». Il desiderio del predecessore alla guida della Diocesi definisce «la logica e il fine della Visita attuale: la riscoperta del senso religioso dell’uomo, nella consapevolezza che tale frattura si sia ulteriormente allargata». «Anche se si può ancora constatare un senso di fede molto significativo tra la gente», toccato con mano dal Cardinale, come spiega lui stesso, «ciò che manca, infatti, è giudicare, quando si esce di chiesa, ogni momento della vita con il pensiero di Cristo». Dall’articolazione in tre fasi della Visita alla sottolineatura del grande dono della presenza del Papa a Milano il 25 marzo, si passa poi alle domande elaborate a livello di Consiglio pastorale decanale e di Commissioni.
Testimoni appassionati nella Comunità
Marina parla di una «Pastorale dell’attesa» perché difficilmente ci si sente mobilitati a coinvolgere gli altri: «Come passare a una Comunità di soggetti appassionati della missione?». Silvia si interroga sulla carità che deve divenire stile di vita e cultura.
«La Comunità pastorale deve essere un luogo in cui, nell’esperienza quotidiana, il soggetto che vive in Cristo sia capace di comunicarsi. Il primo modo per farlo è la familiarità, perché Gesù stesso è partito da relazioni, coinvolgendosi. L’autorità di Cristo viene dall’essere coinvolto e, dunque, testimone. Se non viviamo anche noi gli elementi fondamentali che ci consentono di costruire la nuova famiglia che è la Chiesa, non si genera la Comunità». Per questo, sottolinea il Cardinale, nella Lettera pastorale Alla scoperta del Dio vicino si è presa a modello la comunità primitiva di Gerusalemme con i quattro “pilastri” della vita cristiana descritti in Atti, 2 42-47.
«Al fine di superare la Pastorale dell’attesa, bisogna generare una comunità viva definita dal “per sempre” e fatta di appartenenza forte, perché ciascuno di noi comunica solo ciò che vive ed è – scandisce Scola -. Per questo bisogna giocarsi, condividendo fatiche e gioie, secondo un’idea profonda di compassione che è un “sentire” insieme agli altri». E se tutto ciò ha molte conseguenze nel rapporto tra territorio e ambienti della vita, proprio per questo è particolarmente importante oggi «trovare forme espressive buone e adatte di appartenenza». Come, appunto, «educarsi al fondamentale valore della gratuità e alla missione, ripetendo con regolarità gesti non sporadici come si fa frequentando la Messa. Tale è la strada per passare a una carità costante capace di diventare, così, cultura».
Paola cita l’Evangelii gaudium e domanda su cosa focalizzare la testimonianza «nelle nuove culture che continuano a generarsi in enormi geografie umane». «Abbiamo tanta paura di affrontare i musulmani, ma non diciamo mai che la maggioranza degli immigrati è cristiana, tanto che nella nostra Diocesi solo i Copti sono almeno 10 mila – riflette l’Arcivescovo -. In queste enormi geografie umane il cristiano rischia di non essere promotore di senso e di non comunicare più la bellezza di Cristo, come dice il Papa». Chiaro, invece, come farlo: «La risposta è il modo con cui viviamo la comunità che è il rapporto con Cristo. Questo è il valore della parrocchia dove ritrovarsi, magari parlando con informalità o guardando un film. La sapienza viene non dai libri, ma dall’esperienza e vagliando ogni cosa. Ecco perché Gesù ha scelto di restare con noi nella comunità».
Poi è la volta di Silvia, che si interroga sulla famiglia come soggetto attivo. «La famiglia è un’applicazione decisiva perché è soggetto attivo di evangelizzazione. In questo contesto, occorre fare un grande salto di qualità, perché questa è la via anche per valorizzare i laici, di cui si parla sempre, ma che non si è ancora veramente realizzato».
Famiglia e corresponsabilità dei laici
Insomma, «bisogna che la famiglia, in quanto famiglia, sia soggetto di comunicazione di Gesù con forme snelle e nuove. I Gruppi familiari sono molto utili, ma si deve poter andare al di là, perché il cristianesimo è comunitario e concreto. Si deve essere aperti verso tutti, anche le famiglie ferite. Come si dice già nella Familiaris Consortio, vi sono modalità con cui esse possono partecipare alla vita della comunità. La famiglia è soggetto e non oggetto della cura della Chiesa ed è decisiva per il futuro delle Chiese dell’Europa», conclude l’Arcivescovo, che risponde infine a Massimo su corresponsabilità e formazione laicale, partendo dal concetto stesso di “formazione”: «Non si può ridurre a intellettualismo, ma nasce dall’esperienza cristiana che abbiamo descritto, perché il senso della vita è un’esperienza». Così come si può vedere dall’esercizio che il Cardinale propone a ciascuno: andare al momento della propria vita in cui il battesimo si è attualizzato nell’incontro che cambia l’esistenza: «I luoghi privilegiati del laicato sono quelli dell’esperienza quotidiana che ogni persona è chiamata a frequentare. Ricordiamoci che è il Signore che guida la sua Chiesa, ma noi dobbiamo giocarci liberi dall’esito. È vero, quest’anno sono morti 60 sacerdoti ambrosiani e a giugno ne ordineremo solo 10, tuttavia la vera questione della corresponsabilità dei laici non è la diminuzione dei preti, ma la testimonianza. Non è clericarizzandosi che si contribuisce a costruire il regno di Dio, ma giocandosi nel campo che è il mondo».
Infine, prima del saluto di don Mascetti, ancora una parola all’assemblea: «Ho una grande stima per quello che siete, vi dico grazie per vedervi qui così numerosi».