Il Cardinale ha dato il via alla Visita pastorale nel Decanato di San Donato dialogando con i fedeli nella parrocchia di San Giuliano Martire «Siate aperti a tutti»
di Annamaria BRACCINI
«Un popolo vivo e variegato di 70 mila persone che non ha nessuna intenzione di cedere il passo» in una realtà diversificata, ricca di impegno – 2500 i volontari, un quarto di quanti partecipano alla Messa domenicale -, ma anche di situazioni difficili, come quel 7% di popolazione composto di anziani soli, per la maggior parte vedove. «C’è bisogno di crescere, di comprendere che il tutto è superiore alla parte, per alimentare cammini di vera e più intensa comunione. Altrimenti sarà difficile crescere nella Chiesa in uscita»: don Luca Violoni, decano di San Donato Milanese (cui è accanto il Vicario episcopale della Zona pastorale VI, padre Michele Elli), lo spiega al cardinale Scola che arriva a San Giuliano Milanese, nella parrocchia di San Giuliano Martire, per la Visita pastorale al Decanato. Il territorio è quello della prima cintura milanese, cresciuta vorticosamente, prima con l’immigrazione interna (la popolazione è aumentata sette volte rispetto al dopoguerra) e, da qualche anno, con l’immigrazione extracomunitaria.
Un momento di faccia-a-faccia
«Se siete qui così numerosi, avete già fatto il passaggio dalla convenzione alla convinzione, cosa che dà gioia all’Arcivescovo», dice il Cardinale, che, in apertura ringrazia per il modo in cui i fedeli si sono preparati al dialogo, attraverso il lavoro pubblico e la sintesi delle domande. «Stiamo facendo un’assemblea ecclesiale, un momento di faccia-a-faccia incontrandoci di persona, che è un valore che sta al di sopra di un qualunque modo anche della nuova comunicazione. Prolunghiamo così l’assemblea eucaristica, con un atteggiamento di penitenza e ascolto. Non siamo un partito, ma viviamo e, quindi, comunichiamo l’esperienza che ha reso la nostra vita più autentica: l’incontro con il Signore», aggiunge l’Arcivescovo, rivolto ai moltissimi fedeli che si siedono anche per terra. In prima fila ci sono i sacerdoti del Decanato e i due sindaci di San Donato e San Giuliano Milanese. Se questo è il senso generale dell’essere riuniti, lo scopo specifico della Visita, articolata nei tradizionali tre momenti pensati per mantenere la ferialità dell’iniziativa, è «pensare come pensa Cristo, è pensare Lui attraverso tutte le cose», spiega Scola prima dell’avvio del dialogo.
Comunità pastorali e nuove modalità di trasmissione della fede
Si parla di «Comunità pastorali e del ruolo dei laici per una Chiesa innovativa», di «trasmissione della fede e della Comunità educante» alla ricerca «di nuove modalità di espressione che dicano la testimonianza autentica».
Da questo ultimo interrogativo parte la risposta. «Per annunciare e coltivare la buona notizia di Gesù, la parola-chiave è testimonianza, che non è solo il buon l’esempio, ma un giudizio sulla realtà e la comunicazione, nella verità, di quel giudizio», riflette il Cardinale in riferimento al parlare con autorità di Gesù. Una testimonianza, questa, che deve essere «proposta e annuncio della vita vissuta con Cristo e con i fratelli, spalancandosi a 360 gradi a ogni donna o uomo. Questo è sempre il punto di partenza, la via privilegiata della comunicazione alle giovani generazioni, a chi ha perso la strada di casa o dice di non credere. Qualunque sia la complessità della società o i nostri difetti, l’unica via per comunicare Cristo è la testimonianza, ciò che si vive, perché ognuno di noi comunica solo ciò che è. Noi ci illudiamo che siano sono le strutture a creare vita, perché la vita viene solo dalla vita e nulla nasce “a tavolino” nella casa dei fedeli, che vive nei due poli della comunità e della persona».
Si alimenta così, in alternativa alla cultura dello scarto, quella dell’incontro anzitutto con Gesù: per questo è importante l’esercizio di tornare a quando il battesimo si è riattualizzato nella nostra vita adulta, in uno specifico momento che esiste per tutti. Insomma, il cristianesimo è realismo e per questo «saremo chiamati a semplificare la modalità di vita delle nostre comunità, per generare appunto comunità vive. Non basta realizzare un rosario di attività e iniziative slegate tra loro, occorre tornare all’essenziale con semplicità». Magari realizzando dialoghi informali tra nuclei familiari, a partire da problemi concreti e condivisi (come lo stesso Cardinale ha fatto a Milano e a Varese) o invitando alla Messa domenicale: «Occorre giocarsi in prima persona con tutto questo, così la famiglia diventa soggetto diretto dell’evangelizzazione». Fondamentale, in questo contesto, la liturgia come «luogo dove tale sobrietà parla da sé. Cosa saremmo senza l’Eucaristia domenicale?».
Giovani e oratorio
Si prosegue con due giovani, Andrea e Sharon, che affrontano il tema del ruolo dell’oratorio e chiedono «spunti per vivere fraternità, carità e preghiera».
«È chiaro che siamo in difficoltà nel comunicare l’incontro alle generazioni più giovani». L’invito è a «imparare a vivere rapporti intensi come quelli familiari in modo allargato e secondo i “4 fondamentali” della prima comunità cristiana, quella di Gerusalemme», indicati nella Lettera pastorale Alla scoperta del Dio vicino, attraverso la rilettura di Atti 2, 42-47.
«Ciò che sperimentiamo in famiglia, infatti, è l’appartenenza, come si vede nella vita quotidiana e, al meglio, ai piedi della Croce con l’affidamento di Giovanni a Maria e della Madre al discepolo prediletto. Il cristianesimo è una nuova parentela e una nuova appartenenza. Abbiamo bisogno di questa appartenenza forte, perché oggi essa è troppo fragile. Per raggiungere tutti e accompagnare i nostri ragazzi, occorre che ciascuno si senta parte della comunità cristiana. Le strutture, seppure utili, non bastano», torna a sottolineare Scola. Insomma, con la coscienza chiara di ciò in cui si crede e si testimonia, bisogna prendere atto delle situazioni e lavorare insieme. «Per questo nel dopoguerra, da un’unica matrice dell’Azione Cattolica, sono sorti gruppi, associazioni, movimenti che si definiscono come una dilatazione dell’oratorio e delle parrocchie. Se una realtà di questo genere viene riconosciuta dal Papa, si deve superare ogni tipo di clericalismo, dove il ruolo diventa un ritaglio di potere, e collaborare. Il cambiamento di epoca in atto comporta valorizzare al massimo tutte le articolazioni presenti nel territorio».
Stranieri e dialogo interconfessionale
Infine, il quesito su come «intessere un proficuo dialogo interconfessionale, specie con gli ortodossi». Tema, questo, particolarmente sentito, considerato che su 70 mila residenti nel Decanato, 10 mila sono stranieri e, di questi, la metà di religione cristiana.
«Dovete aiutare a recepire, fino in fondo, ciò che Cristo ci ha lasciato in eredità: “Siate una cosa sola, perché il mondo creda”. Questo obbliga a un lavoro specialmente con le seconde generazioni, altrimenti si creano i problemi che vediamo anche in questi giorni. Vi incoraggio a un dialogo ecumenico che deve nascere dal basso: basti pensare ai matrimoni misti. Un ecumenismo di popolo per il quale bisogna avere pazienza, rispettare e aspettare».
Anche per il dialogo con l’Islam, «che è il più delicato di tutti», la consegna è a proseguire nell’impegno di integrazione, come già avviene negli oratori, e nell’accoglienza: «Certamente l’immigrazione ci sottoporrà a una prova durissima, ma non sono le paure che ci faranno affrontare adeguatamente il problema».