Il cardinale Scola ha raggiunto il Decanato Luino, proseguendo nella sua Visita pastorale feriale. In questo estremo lembo della Diocesi, l’Arcivescovo ha raccomandato di saper leggere i segni dei tempi nella fedeltà alla radice dell’incontro con Cristo
di Annamaria BRACCINI
L’inizio con il segno di Croce, lo scambio della pace, la lettura degli Atti degli Apostoli 2, 42-48, che descrive i 4 pilastri della fede, guida, ancora oggi, del cammino della Chiesa del Terzo millennio, e un breve brano tratto dall’Omelia del cardinale Scola per l’inizio dell’Anno pastorale, danno avvio alla Visita pastorale feriale dell’Arcivescovo stesso al Decanato Luino. La prepositurale dei Santi Pietro e Paolo, in un sera scura di pioggia ormai quasi invernale, è, invece, inondata di luce. L’evento è stato preparato ed è atteso, come si intuisce bene guardando i tanti ragazzi scouts, i sacerdoti giunti anche da luoghi lontani di questo esteso Decanato all’estremo nord della Diocesi, in Zona pastorale II-Varese.
Il Decano, don Sergio Zambenetti, cui è accanto il Vicario di Zona, monsignor Franco Agnesi, introducendo, dice: «La ringraziamo per essere venuto in mezzo a noi che siamo alla periferia della nostra grande Diocesi. La sua presenza ci fa sentire parte della Chiesa. La secolarizzazione da cui non è rimasto immune nemmeno il nostro territorio che sembra fuori dal mondo, chiede di educarsi al pensiero di Cristo come cifra del nostro agire dentro la storia. Abbiamo bisogno di lei per superare pigrizia e luoghi comuni, nella quotidianità, quando talvolta pare prevalere la stanchezza della testimonianza».
«Dico sempre che quando i cristiani si incontrano non fanno una riunione ma prolungano l’assemblea eucaristica, in una di dialogo, come stiamo facendo qui stasera. Questo determina un modo di ascolto che feconda e che nasce da un atteggiamento di confessione. Per questo vogliamo stare davanti a Dio come siamo, nudi nel nostro cuore. La Visita pastorale, il “faccia a faccia” è insuperabile ed è espressione privilegiata dell’Arcivescovo che si rende presente convocando il popolo santo di Dio che gli è stato affidato», spiega subito il Cardinale che definisce anche gli steps della Visita», che prosegue con l’impegno dei fedeli, dei parroci, Decani, Vicari di Zona, sul territorio fino a individuare – sotto la guida del Vicario generale – un gesto concreto da attuare dalla e per la Comunità. Chiaro anche l’obiettivo che ci si prefigge: «Al di là del rapporto che si gioca sulla parentela dilatata da Cristo della fraternità che noi siamo, lo scopo è quello di superare il fossato tra fede e vita che si è creato con la secolarizzazione che è anche, in parte, scristianizzazzione».
Da qui la prima chiara indicazione: «Portare in ogni ambiente, nel quotidiano, il pensiero di Cristo, per non essere schiavi, una volta usciti di chiesa, del pensiero dominante».
Si avviano, così le domande: Vanna parla del timore «di perdere la propria identità», Monica si interroga su «come rigenerare l’entusiasmo di essere in Dio, superando la stanchezza».
«Non ci sono ricette o istruzioni per l’uso», sottolinea Scola, che cita una bella espressione del Vaticano II per cui “l’uomo è uno di anima e di corpo”. «Questa è l’identità che, quindi, è dinamica, perché noi mutiamo. Ciò vale per il soggetto e per la comunità, perché quest’ultima è un “noi”, in quanto l’“io” – un punto critico della fatica contemporanea –, è e si deve percepire sempre in relazione».
La questione è semmai, aggiunge l’Arcivescovo, «distinguere bene ciò che è sostanziale da ciò che è legato ai tempi. La Chiesa chiama ciò che è sostanziale tradizione che significa che l’identità cristiana non può prescindere dal rapporto con Cristo, roccia immutabile». Sono le forme della pratica della fede, della religione che, provocati dalla realtà e dalle circostanze, possono cambiare, «ma ciò non viene fatto a tavolino».
Il tema della Chiesa di pietre vive, tanto caro al dibattito odierno, significa appunto questo: «Occorre, con garbo e pazienza, piantare, sulla sostanza dell’identità, un confronto continuo con la modernità accettando il nuovo che viene a noi attraverso le circostanze offerte dalla Provvidenza. Bisogna assecondare criticamente la realtà, perché la realtà è Dio stesso che ti interroga».
L’esempio, per entrare nella problema dell’entusiasmo o stanchezza, non ha bisogno di molte spiegazioni. «Accade come nell’innamoramento che genera un entusiasmo per cui tutto è diverso. Così per i cristiani: che cosa scatena un desiderio vitale e potente che va oltre la cultura della morte? È Gesù. Per questo è necessario l’incontro con Cristo ed essere consapevoli del momento in cui si realizza nella vita, quando il battesimo si è attualizzato e personalizzato e abbiamo iniziato a dare “del tu” a Gesù».
Insomma, «la fede convinta per uscire dalla convenzione» si gioca qui: la radice, il dono della fede, datoci nell’incontro con il Signore resta intatto, ma occorre declinarlo nella vita, perseverando sempre e chiedendo al Signore che tale incontro si ravvivi». Magari con quella “ginnastica del desiderio” definita così da Agostino.
Ancora domande: Nadia riflette, «nonostante le difficoltà presenti, siamo invitati a essere promotori di dialogo, ma quale la sua natura perché non sia un monologo?»; Sara osserva: «C’è una grande attesa soprattutto verso i più giovani e coloro che siamo chiamati ad accogliere, quale la natura della nostra testimonianza?».
«Il dialogo non può essere un modo per mascherare un monologo o una modalità leziosa che non va a fondo. Il dialogo è il camminare insieme, scambiandosi esperienze verso la comprensione di tutta la realtà che ha al suo interno aspetti che ci sfuggono, per cui siamo sempre tentati di limitarla. Un dialogo esistenziale, perché parte dall’esperienza, dalla vita in atto, e fa leva sulla testimonianza, cioè sulla modalità di comunicare all’altro la condivisione dei problemi e dei bisogni. Lo scopo è quello di renderci uomini più maturi secondo verità, bontà e bellezza. Anche la preghiera è questo dialogo perché il Signore si è chinato su di noi e dialoga con ciascuno».
Il pensiero non può che andare ai “Dialoghi di Vita Buona” che, con il II Ciclo dedicato a “Naturale e Artificiale nell’esperienza umana”, rincominceranno il 24 ottobre a Milano. «Il travaglio della nostra Europa è certamente legato alla crisi profonda educativa che stiamo attraversando. Non a caso, nel decennio dedicato ala l’educazione, noi Vescovi italiani abbiamo parlato di “emergenza educativa”. È la questione 1 e non si può confondere l’educazione con la professionalizzazione, pur necessaria, nelle scuole. La parola giusta, anche in questo contesto, è testimonianza. L’educazione è ricomprendere il senso della vita come significato e direzione::per noi cristiani è Gesù. Dobbiamo aiutare i giovani mantenendo aperte le nostre scuole e i luoghi educativi, senza nulla togliere alla scuola di Stato. È meglio andare con i pantaloni rattoppati, ma dare ai giovani la possibilità di imparare tale senso».
Se il “nodo” rimane quello «di proporre Cristo come ipotesi esistenziale di vita e criterio per valutare tutto», l’educatore deve essere testimone, perché «ci vuole un principio unificante, non come teoria, ma come stile di vita».
Infine, Giancarlo parla del lavoro, che a Luino vede molti frontalieri e delle preoccupazioni alimentare dal recente Referendum in Svizzera sulla limitazione della mano d’opera straniera.
«Bisogna vivere bene una comunità in uscita, spalancata a 360°, facendo passare nel quotidiano ciò che propone ogni domenica la nostra Chiesa, e alimentare amicizia civica, la “filìa” di Aristotele. Trasferire, nel rispetto di tutti e con le debite distinzioni tra comunità cristiana e civile, l’esperienza che ciascuno fa della vita».
«È come per la Trinità, che può educarci a pensare la differenza perché in Lei c’è la massima comunione nella massima divisione», conclude il Cardinale. «Una società civile deve tendere il più possibile alla comunione dei cittadini, nel rispetto della sacralità del singolo. Ecco come in cristiano può contribuire alla crescita della società».