Il Cardinale ha presieduto l’Eucaristia che ha aperto il Giubileo per i 400 anni dell’Apparizione della Vergine a Imbersago. Nell’amatissimo Santuario della Madonna del Bosco e all’esterno, oltre un migliaio di fedeli ha seguito la celebrazione

di Annamaria BRACCINI

Madonna del Bosco-05

Tanti, tantissimi fedeli che «con il cuore colmo di gioia» si radunano attorno alla Vergine per renderle onore, pregare, imparare dalla Madre del Signore.
Con questi sentimenti, sono oltre un migliaio coloro che non hanno mancato il grande e atteso momento del 400esimo anniversario dell’Apparizione della Madonna del Bosco. Nel giorno esatto, era il 9 maggio in cui, nel 1617, Maria apparve a tre pastorelli presso Imbersago, arriva anche il cardinale Scola che presiede l’Eucaristia in un Santuario nel quale trova spazio solo una piccola parte delle persone accorse.
Il benvenuto è porto da don Giulio Binaghi, rettore del Santuario, che ricorda la visita del cardinale Scola, allora patriarca di Venezia, alla fine di agosto del 2004, in memoria del 29 agosto 1954».  quando san Giovanni XXIII, anch’egli al tempo Patriarca, incoronò la statua della Vergine.
Insomma, una giornata importante, «un momento centrale in cui vogliamo ricordare quanto Dio ha operato con l’Apparizione della Madonna: un fiume di misericordia. Siamo qui per ringraziare, perché Maria ci ha consolato, ha asciugato lacrime e ha dato speranza», conclude il Rettore che concelebra unitamente ad alcuni Confratelli della zona. Nelle prime file siedono i sindaci di Merate e Imbersago (i due Comuni su cui sorge il territorio del Santuario), le autorità militari e i rappresentanti della società civile.
Dall’Apparizione – con i ricci maturi scorti su un castagno dai pastorelli e il miracolo operato su un bimbo strappato dalle fauci di un lupo, per cui il Santuario prende anche il nome della Madonna dei Miracoli o del Riccio – si avvia l’omelia dell’Arcivescovo.
«Segni preziosi da cui ha preso vita questo straordinario luogo di preghiera e di perdono», nota Scola in riferimento anche al «grande dono», voluto dal Santo Padre, del Giubileo che inizia appunto per i 400 anni e terminerà il 9 maggio 2018.
«È impressionante che questa data sia così vicina al centenario di Fatima e colpisce che tre bimbi fossero i prediletti là e anche qui. Questo smaschera ogni rischio di tentazione magica o pietistica che corriamo, perché i bambini sono semplici, ma capaci di meravigliarsi, sapendo unire la sorpresa gioiosa alla serietà. Pensiamo  a Fatima e a quanto i due piccolini che verranno canonizzati sabato prossimo da papa Francesco, hanno dovuto sopportare, essendo perseguitati dalla mentalità massonica dominante nella loro terra».
L’invito, per tutti, è a non separare meraviglia e serietà, perché «quando lo facciamo diventiamo sterili e abbiamo la faccia triste. «Ecco il significato della tenerezza di Maria e di Santuari» come Imbersago, originariamente un piccolo Scurolo, da tempo anche Basilica minore, che sorge nel luogo esatto dell’Apparizione, definito da un devotissimo Giovanni XXIII «il più bello perché era quello della sua infanzia».
«Anche noi siamo stati educati a vedere in Maria l’espressione della tenerezza che può comporre i due elementi della meraviglia e della serietà. Noi che crediamo di potere affrontare da soli la vita e che, pur con grande esperienza delle umane cose, siamo reclinati solo sui nostri problemi, ci fidiamo unicamente di noi, incapaci di spalancarci all’altro. Il nostro grazie va alla Vergine che, in questo luogo, continua a educarci al bene di noi stessi e degli altri».
Ma da dove deriva questa capacità di amore di Maria? La risposta, viene dal Vangelo appena letto, con l’affidamento, voluto da Cristo morente, della Madre a Giovanni e del discepolo prediletto a Lei.
«Pensiamo al dolore ai piedi della croce, a quello dello “stabat Mater dolorosa”, della Madonna che “sta” nonostante la spada che le trafigge il cuore. Questa assunzione del sacrificio diventa quella espressione formidabile di amore che fa accettare ogni sacrificio perché Gesù inaugura la nuova parentela tra tutti coloro che Gli appartengono e accettano, con umiltà, tale appartenenza. Da ciò dobbiamo trarre che anche noi siamo una famiglia, non una forma annacquata della famiglia della carne e del sangue, ma anzi più potente. Siamo quelli che hanno in comune Gesù grazie al Battesimo, siamo una comunione reale».
Da qui la domanda e il compito che il Cardinale lascia ai pellegrini presenti e a tutti quelli che si recheranno al Santuario nell’Anno giubilare. «Oggi, in una situazione di cambiamento così travolgente, per cui tutti i valori che abbiamo vissuto per secoli sono almeno confusi, le nostre comunità parrocchiali, le associazioni, i movimenti, i gruppi sono espressione dell’uomo nuovo che vive la relazione con gli altri nella consapevolezza che siamo figli nel Figlio e, quindi, fratelli e sorelle? Come viviamo il modo di essere presi a servizio nella Chiesa e nella società civile? Quanto prevale ciò, ogni giorno, sulle nostre opinioni e ripicche? Come accettiamo le circostanze belle e meno belle della vita e ci disponiamo a viverle quale espressione della volontà di Dio a cui dire “sì” in pienezza?».
Ovvio che la scelta di riconoscere la nuova parentela sia la strada per affrontare questi interrogativi come credenti autentici secondo il pensiero di Cristo. «Questo è il senso del pellegrinaggio, della confessione, che un gesto di grande libertà al contrario di quello che si dice oggi. Soltanto se esprimiamo la fraternità che ci lega, che l’Eucaristia rende concreta, realizziamo un equilibrio giusto tra amore per Dio, per noi stessi e per gli altri». Allora troviamo un giusto atteggiamento – suggerisce, in conclusione, il Cardinale – per vivere l’accoglienza, mai come adesso problema cruciale con l’immigrazione.
E, a fine della Celebrazione, la Benedizione papale plenaria con l’Indulgenza plenaria concessa dal Papa, e ancora la grande festa che circonda il Pastore, la benedizione ai bambini e il dono all’Arcivescovo della Medaglia commemorativa per il Giubileo, n.1 delle 50 coniate per l’occasione.

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