Il Cardinale ha compiuto la Visita pastorale per i Decanati di Erba e Asso. Ai moltissimi fedeli riuniti nella Sala della Comunità Excelsior, l’Arcivescovo ha chiesto di vivere ogni ambito della quotidianità con la libertà cristiana che viene da un vero amore di donazione e di fraternità, «perché siamo un’unica famiglia»
di Annamaria BRACCINI
«Grazie per essere qui in una sera come questa di solito dedicata alla famiglia, il che vuole dire che avete capito bene che questa è una famiglia».
Così il cardinale Scola saluta la grande “famiglia”, che già mezz’ora prima del suo arrivo, affolla la Sala della Comunità il Cineteatro “Excelsior” di Erba, per la Visita pastorale ai Decanati di Erba stessa e di Asso, presenti anche il vicario si Zona III-Lecco, monsignor Maurizio Rolla e i due rispettivi decani, don Isidoro Crepaldi e don Virginio Resnati. Un’ampia realtà che comprende, complessivamente, di 49 parrocchie, 36 solo per Erba, con quatto Comunità pastorali e sei Unità per un totale di circa 86 mila abitanti, mentre ad Asso, sono 13 le parrocchie e 11 mila le persone.
«Siamo qui perché vogliamo che la nostra vita sia più bella e, poiché, la bellezza è un altro aspetto della verità, che sia più vera e che noi si diventi più buoni, cambiando il destino di ogni nostro fratello uomo con l’annuncio del Vangelo», spiega subito l’Arcivescovo che puntualizza con chiarezza: «Non siamo un’azienda, un partito, un’associazione, siamo qui per un’assemblea ecclesiale che deve avere uno stile eucaristico, di comunicazione costruttiva di sé, attraverso le vostre domande che sono espressione sinodale, espressione della vostra comunione».
Inizia così quella Visita pastorale “feriale” – con la quale si arriva ai 21 Decanati raggiunti – che «deve inserirsi con naturalezza nella vita», attraverso un’articolazione che va dall’assemblea vissuta con il Vescovo alla successiva capilarizzazione in cui i Vicari episcopali e i Decani incontreranno tutte le realtà del territorio, per arrivare al terzo momento, con l’identificazione del passo da compiere come intera Comunità decanale.
Infine, lo scopo della Visita, «colmare la frattura tra la fede e la vita, poiché si è messo da parte Gesù Cristo, come scriveva, a proposito della cultura, il giovane don Montini nel 1934.
Da qui, la prima consegna del Cardinale che, seguendo la Lettera pastorale, “Educarsi al pensiero di Cristo”, invita i fedeli ad avere tale pensiero e i sentimenti del Signore, «perché questo rende bello, affascinante e credibile, il fatto cristiano. Un pensiero commosso che ci fa veramente uomini e per il quale, nell’orizzonte del grande amore di Gesù,, tutto cambia, si ridesta e trova il suo significato».
E se la sfida è portare la fede al quotidiano, «con la consapevolezza del dono ricevuto da rendere poi, a nostra volta, agli altri», le domande che vengono poste all’Arcivescovo in rapida sequenza, ben esprimono il senso di una cristianità diffusa e volta a immergersi sempre di più nella propria realtà.
Roberto chiede se, dopo l’Expo, “vi sia una maggiore attenzione ai temi politici e sociali”; Cristina domanda “se si può pensare di unire gli oratori delle piccole parrocchie di Valbrona in uno unico?”; Sara si interroga su “quali spazi deve riservarsi la famiglia come prima scuola dove è iniziata la comprensione di Gesù”.
«Se, come cristiani, non ci rimettiamo in gioco nel campo sociale e politico rischiamo di diventare queruli e quindi tendenzialmente insopportabili», osserva Scola definendo una tendenza al lamento tipica di alcuni ambienti.
«C’è un’azione da riprendere in grande stile di fronte ai grandi mutamenti come i 50 milioni di persone in movimento attualmente nel pianeta, per cui bisogna mettere in campo un atteggiamento di accoglienza equilibrata per favorire l’integrazione. Pensiamo anche alla finanza che ha comportato la modificazione del lavoro o al fatto che l’uomo ha, per la prima volta, messo le mani sul suo patrimonio genetico. Comprendiamo che, dopo la caduta dei Muri qualcosa è veramente cambiato, ma non sappiamo ora cosa fare e viviamo in una sorta di “autismo”, per cui non riusciamo più a comunicare in vista del bene».
Ma avendo Cristo come centro affettivo – suggerisce il Cardinale – , «cambia il modo di vedere le cose, credendo che tutto non finisca con la morte mi comporto in modo diverso nell’esistenza e l’altro rappresenta un fratello, perché Gesù ha inaugurato la nostra nuova parentela. La passione che dobbiamo avere nel comunicare la bellezza della comunione cristiana è un criterio che deve venire prima di ogni altra cosa. Quindi bisogna “rigiocarsi” nel civile, specie in una società tendenzialmente conflittuale che domanda a ogni soggetto di narrasi e narrare ciò in cui si crede. Per questo oggi è un tempo in cui dare ragioni: se, per me, la famiglia è l’unione tra un uomo e una donna fedele e aperta alla vita, e non lo dico, tolgo qualcosa alla società».
Questa, per i cristiani, nella prospettiva della Dottrina Sociale della Chiesa, è la politica e a tale fine la nostra Chiesa ha voluto proporre a tutti, «anche coloro che dicono di non credere o di non potere credere, anche ai non battezzati e a uomini di diverse religioni» i “Dialoghi di Vita Buona”.
Poi, il pensiero va all’oratorio, per cui l’Arcivescovo dice: «Vedo molto bene l’ipotesi di percorso condiviso che la Pastorale giovanile sta tentando di attuare e nel quale si devono equilibrare i due livelli, l’uno parrocchiale e l’altro in un’ottica d’insieme più ampia. La pastorale giovanile e quella della culturale hanno, oggi, certamente bisogno di una prospettiva allargata».
Orizzonte di impegno fattivo e di ampio respiro – questo – adeguato al presente, che non può che riguardare anche la famiglia come soggetto privilegiato di evangelizzazione. L’invito è, allora, a incontrarsi tra famiglie, come il Cardinale stesso sta mettendo in pratica, avendo già visitato e dialogato, in , una casa privata, con alcuni nuclei familiari e Milano. Esperienza che, annuncia, vuole ripetere da qui a maggio per ogni Zona pastorale (per Varese sarà già martedì 9 febbraio).
Si prosegue con altre domande. Anna di Azione Cattolica, “Quali i passi da compiere per realizzare un cammino più concreto di comunione tra le parrocchie e le Comunità pastorali?”; Giampaolo con la moglie Carmen, “Come rompere con il “borghesismo” delle famiglie e sostenere le coppie in difficoltà?”; Rita, “Quale priorità privilegiare perché lo spirito missionario venga alimentato?”.
«Le Comunità pastorali rappresentano una giusta via per la nostra Chiesa, alla condizione si riconosca la loro natura missionaria.
La Comunità pastorale è, infatti, un invito, una premura verso la missione: «se, invece, la pensiamo solo nella logica di intraprendere iniziative in comune», non ne comprendiamo la ragione profonda, che non è – e qui l’Arcivescovo sgombra subito il campo da un equivoco ancora tropo diffuso – «la diminuzione del numero dei preti».
«Certo, su 1884 sacerdoti secolari diocesani, 550 hanno più di settantacinque anni –riflette –, ma non è questo il motivo della Comunità pastorale che è invece una risposta geniale alla necessità di avvicinare ogni uomo. Ci vorranno 15-20 anni perché la CP divenga una realtà normale tra noi, quindi non bisogna scandalizzarci delle fatiche, ma ribadisco che la scelta è stata giusta e proficua. Occorre però che ogni Comunità abbia una sua fisionomia (non si possono fare su un modello prestabilito o seguendo solo i confini), ma realizzare ciò è precisamente il vostro compito di diaconia».
E sul “borghesismo”: «Per sconfiggerlo non si deve essere schiavi nell’uso dei beni, avendo consapevolezza che la loro destinazione è universale e che la carità non è delegabile. Ecco perché tra i fondamentali della fede vi è l’educazione al gratuito.
Come a dire, il problema va affrontato «con un’energia di libertà», di cui è sintesi la splendida espressione di san Paolo “Io, ma non più io”.
«È questa è la strada per sostenerci tutti, anche aiutando le coppie in difficoltà», testimoniando la bellezza di una famiglia che resta unita perché c’è donazione reciproca. «Senza il “per sempre” non c’è quell’amore che permette di andare avanti attraverso il perdono. Laddove non c’è fedeltà non c’è amore, come scriveva Von Balthasar, ed è questo amore che genera uno scatto di comunione».
Insomma, un invito a vivere la realtà portando la «comunicazione gratuita e grata di Cristo fattosi incontro a noi», che è anche il cuore della missione, sia ad gentes sia nelle nostre terre ambrosiane. Questione «decisiva, perché non ci sono lontani in quanto ogni uomo vive, ogni giorno, un’esperienza di affetti, di lavoro, di riposo, di festa, di dolore, di comunione e di edificazione di giustizia. La mistica e l’esaltazione dei lontani non ha nulla che fare con la missione che è invece, appunto, comunicazione semplice e grata dell’amore vero ricevuto».
Infine, prima del lungo applauso, il consiglio quasi paterno: «Iniziamo ogni mattina con un segno di croce e, a sera, affidiamo tutto quello che abbiamo sul cuore alla Madonna. Non è molto e possiamo farlo tutti».