L’Arcivescovo ha avviato la Visita pastorale al Decanato alle porte di Milano, che comprende diverse realtà parrocchiali impegnate in un cammino di comunione e nella preparazione della Missione Cittadina

di Annamaria BRACCINI

cinisello/IMG_4065

Proseguire sulla scelta «intelligente e decisiva» di «vivere insieme la Chiesa della città». Questa la “consegna” con cui il cardinale Scola ha aperto la Visita pastorale nel Decanato di Cinisello Balsamo (il 62° toccato): 7 parrocchie che svolgono la loro azione nel territorio della città, con i suoi 70 mila abitanti.

«Il riferimento della nostra attività è la Carta di Comunione per la Missione, elaborata dal 2010 per coordinarci meglio», dice il decano don Alberto Maria Capra, che legge il documento elaborato dal Consiglio pastorale decanale e spiega come in alcuni ambiti si lavori bene e in altri – «la corresponsabilità tra clero e laici o la sfida di intercettare i giovani» – persistano difficoltà. Proprio per questo ci si sta preparando all’indizione di una Missione Cittadina, conclude il Decano, cui sono accanto il vicario episcopale di Zona VII monsignor Piero Cresseri e don Enrico Marelli, parroco di San Martino in Balsamo, dove si svolge l’affollata assemblea ecclesiale.

Significato e prospettive

Da parte sua, l’Arcivescovo delinea la ragione generale della Visita come dovere episcopale, il suo senso specifico, «educarsi al modo di pensare di Cristo, superando il problema del cristianesimo ossia la rottura tra la fede e la vita», e l’articolazione dell’iniziativa in tre momenti. Esplicito anche il richiamo alla Via Crucis con il Santo Chiodo, che in Quaresima toccherà le 7 Zone pastorali, guidata dal Cardinale «come gesto di penitenza e di domanda di conversione perché la nostra gioia sia piena» e l’inserimento della Visita nella prospettiva della presenza del Papa a Milano il 25 marzo.

«La natura dell’incontro che i cristiani fanno tra loro è sacramentale, eucaristica, ecco perché parlo di assemblee ecclesiali – dice Scola -. Questo è lo spirito con cui partecipare a ciò che viviamo stasera: spirito di confessione, di ascolto personale della Parola con cui è Gesù stesso che ci parla, e spirito di comunione che ci permette di lasciarci incorporare a Lui». Visita, quindi, volutamente feriale, capace di incidere nella vita, perché, come è evidente oggi, «quando usciamo dalle chiese non portiamo il pensiero di Cristo nel quotidiano rischiando di rimanere fluttuanti», soggiogati «dalle letture del mondo dominanti».

L’identità e il dialogo

Iniziano le domande: Paolo chiede «come vivere, in un clima di missione cittadina, l’evangelizzazione e il dialogo con persone non credenti e di altre fedi, specie i musulmani».

«L’aspetto che mi colpisce è la necessità di conoscere la realtà, ciò che l’esperienza vissuta suggerisce all’uomo europeo. Conoscere la realtà è condizione fondamentale per vivere l’esistenza. Perché ogni giorno ricominciamo?», riflette Scola, che aggiunge: «Un “perché” che dobbiamo comprendere per stare dentro la realtà con maggiore compimento della persona. È chiaro che, se credo nella vita eterna, concepisco in modo diverso il modo di amare, di condividere il bisogno, di usare il denaro. L’analisi della realtà non è mettersi a tavolino, ma affrontare, secondo la mentalità di Cristo, i rapporti tra noi e le circostanze. Qualunque tipo di studio, pur utile, se non è un coinvolgersi, un giocarsi fino in fondo, non serve». Laddove nell’epoca contemporanea, «c’è un modo di parlare che non si coinvolge veramente con la persona, la prima questione per fare bene la missione e ritrovare in termini autenticamente personali, l’energia di coinvolgersi con gli altri».

Nasce da qui un’indicazione precisa sul confronto interreligioso, importante a Cinisello per la presenza, in certi quartieri come Crocetta, di più del 60% di stranieri (57 i profughi ospitati in città): «Per dialogare bene con i musulmani bisogna comunicare, nel rispetto di ognuno, chi siamo e ciò in cui crediamo. Se non ci muoviamo, non andiamo incontro condividendo bisogni, problemi, potenzialità, la questione rimane ferma, anche se studiamo tutto il Corano». Insomma, dobbiamo esprimere quello che siamo: «Il cristianesimo è un fatto popolare e ama la realtà perché ama la verità. Questa è la strada: Cristo come senso del vivere. Nella nostra Diocesi esiste ancora un fortissimo cristianesimo di popolo, come tocco con mano ogni volta che visito le parrocchie – nota l’Arcivescovo -. Allora dobbiamo chiedere di arrivare alle parole di Pietro: “Signore da chi andremo?”, sapendo che senza il rapporto con Gesù, non c’è vera vita».

La persona e la comunità

Poi, è la volta di Massimo che sottolinea l’importanza di essere Chiesa della città. «Come crescere perché questa non sia solo una realtà funzionale?». «Questa scelta di vivere insieme la Chiesa della città, vero soggetto ecclesiale, è intelligente e decisiva e su questa vi incoraggio – puntualizza Scola -. Il soggetto è il grande ignorato dell’epoca moderna in Europa, anche perché ci aspettiamo la spiegazione della nostra vita unicamente dalla tecnocrazia, dal potere delle scienze. Questi temi hanno molto a che fare con una Chiesa della città che è un soggetto reale che vuole approfondire la propria identità: per farlo bisogna capire che il cristianesimo è il luogo in cui è esaltato il rapporto tra la persona e la Comunità. Se quest’ultima fa fiorire la persona e la persona si dispone a vivere in comunione, essendo effettivamente dei fratelli, la Cp, la Chiesa della città funziona ed è viva». La sfida è quella di «far emergere il soggetto in comunione in modo tale che il Signore divenga una compagnia stabile per tutta la vita. Questo è un cammino: basti pensare a Gesù che è via verità e vita e al pellegrinaggio come simbolo della nostra fede. La relazione di una Chiesa aperta a 360° prevede la proposta del nostro stile di vita a tutti con libertà», cosa che «implica evidentemente la scelta della conversione».

Trovare comunione

Infine, Renata evidenzia «le fragilità della comunione e una corresponsabilità che non si fermi solo alla collaborazione». Come superare tali fatiche? «Nella grande famiglia della comunità cristiana succede quello che accade anche in ogni nostra famiglia. Non scandalizziamoci dei peccati reciproci, dell’ostinazione a non collaborare, perché ciò è legato all’insuperabile imperfezione dell’uomo. Però non dobbiamo giustificare questi atteggiamenti.  Nella Chiesa vi sono compiti diversi, ma in comune abbiamo la vocazione, l’essere in Cristo, l’appartenenza a Lui che ci viene incontro sempre. Questo ci rende membri del popolo di Dio, ciascuno a pari dignità, dal Papa all’ultimo venuto. La via per trovare comunione corresponsabile è sentire nel profondo che siamo insieme alla sequela di Cristo nell’abbraccio della Chiesa. Qualunque cosa si sottrae alla comunione indebolisce la Chiesa. Ricordiamoci che la comunione è un lavoro, su cui proseguire tutta la vita con due condizioni fondamentali l’ascolto reciproco e il gesto estremo di amore che è il perdono. Trasformiamo in azione vivente, come diceva Madre Teresa di Calcutta, l’amore di Cristo».

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