L'Arcivescovo si è recato nel centro profughi gestito da “Farsi prossimo” e ha incontrato ospiti, responsabili e operatori: «Intelligente pensare di accogliere piccoli gruppi nei vari paesi, ma occorre sensibilizzare e far comprendere alla gente che passi simili vanno a favore del futuro di tutti»

di Annamaria BRACCINI

scola casa suraya 2015

Uno spazio di speranza dove i destini di donne e uomini che hanno attraversato terre, continenti e mari, rischiando la vita e percorrendo il loro calvario del terzo millennio, si incontrano e si intrecciano. Insomma, in una parola, come dice il cardinale Scola, «un luogo di civiltà». È Casa Suraya, che ospita attualmente un centinaio di rifugiati: mamme, bambini, papà, fratelli, famiglie, persone o inviate dal Comune temporaneamente con misura d’emergenza, magari dalla Stazione Centrale o dalla Prefettura, in quanto facenti parte delle quote previste dal Ministero Interni nel piano di accoglienza regionale. Tra i primi, molti siriani in transito verso il Nord Europa, mentre per i secondi si tratta soprattutto di eritrei, etiopi e palestinesi richiedenti asilo.

Ed è allora un mondo multicolore, quello che saluta l’Arcivescovo: ci sono gli ospiti – all’entrata bimbi offrono due rose appena colte nel bel giardino circostante -, una quindicina di volontari, i responsabili della Cooperativa Farsi Prossimo di Caritas Ambrosiana che gestisce la Casa, i mediatori culturali, il direttore e vicedirettore di Caritas, gli assessori comunali Majorino e Granelli, la rappresentante del Prefetto, le Suore della Riparazione – riunite nel loro Capitolo generale – che hanno offerto questa grande struttura e che sono a loro volta impegnate in cammini di sostegno e avvio al lavoro di giovani donne in difficoltà. Tutti insieme, insomma, per la visita molto attesa del Cardinale a Casa Suraya, inaugurata il 20 giugno 2014 in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato e intitolata, come spiega Annamaria Lodi, presidente di Farsi Prossimo, alla prima bimba siriana nata durante l’accoglienza.

«Si vede bene che può esistere un “impatto” sostenibile per rifugianti e migranti: qui si sta sperimentando un modello operativo a tutela della dignità di chi soffre e della sicurezza dei cittadini», scandisce don Roberto Davanzo, direttore di Caritas Ambrosiana, che ricorda come nelle ultime settimane, tra le camere luminose, pulitissime e dignitose della Casa, siano passati, per esempio i genitori straziati della bimba morta per la mancanza di insulina o quelli dei quattro figli, dagli otto mesi agli otto anni, scomparsi nel loro viaggio attraverso il Mediterraneo. Tutte persone che oggi hanno trovato asilo politico in Germania. 

Le testimonianza portate direttamente, accanto a Scola, da alcune mamme, pur non così drammatiche, parlano comunque di dolore e di speranza, di un passato da dimenticare e di un domani in cui credere.

Marlen, congolese, 30 anni, ha una figlia nata lo scorso settembre a Magenta ed è arrivata appena dopo il parto a ottobre 2014. Chancelvie, anch’essa circa 30 anni, dal Congo, ha due bimbi di quattro anni e di circa dieci mesi. Entrambe hanno in braccio i piccoli e narrano, commuovendosi, del primo rifugio cercato in Libia, scappando dalla guerra o, meglio, da tanti diversi conflitti. Lamiya, siriana di origine palestinese, quarantotto anni, due figli di otto e dieci anni, è giunta in Italia a fine maggio e ha fatto richiesta di asilo proprio per rimanere in città: «Sono stata accolta molto bene – racconta -. Ho viaggiato dalla Siria in Libano e, a tappe, sono arrivata in Libia in bus; poi, su un barcone piccolo con una traversata pericolosa, in Sicilia, ma volevo venire a Milano, perché sono una stilista».

E il primo pensiero dell’Arcivescovo, allora, è per gli ospiti, ma anche per chi li ha accolti a braccia aperte. «La crescita umana è impossibile fuori dalla relazione, la condivisione del bisogno si dilata, come ci insegna il Vangelo, e questo mi colpisce vedendo l’alleanza per l’accoglienza che si coltiva qui. Chancelvie ha detto: «Sono venuta qui perché vorrei che i miei figli diventassero persone libere e mi piacerebbe che potessero studiare». Questo è il nostro bisogno perché le libertà realizzate sono ancora poche. Una democrazia si vede dalle libertà non conclamate, ma realizzate, e io sono gratissimo, come Vescovo, a chi, a ogni livello, si gioca in prima persona». E prosegue: «Bisogna coinvolgere le famiglie, le persone e potremmo trasformare così questo processo drammatico di meticciato di civiltà in un fattore di civilizzazione della nuova Milano e di un’Europa rinnovata». Poi un’osservazione: «Non ci si deve scandalizzare che nostri molti conterranei abbiano paura. Troppi e troppo rapidi sono stati i cambiamenti, solo che la paura è una cattiva consigliera e occorre, invece, un grande lavoro educativo che un luogo come questo realizza di fatto, perché l’educazione non è costruita di discorsi, ma è un frutto che “passa” per osmosi. L’Europa è assai lenta, ma dal basso, attraverso esperienze come questa, può muoversi qualcosa».

Il riferimento è alla disponibilità chiesta alle parrocchie, qualche settimana fa, dalle Caritas di Lombardia e rilanciata a livello diocesano da don Davanzo, come accoglienza temporanea sostenuta economicamente da Caritas e dalle cooperative che hanno in carico i rifugiati. «Pensare a piccoli numeri, magari nella realtà dei paesi, è una scelta intelligente – nota il Cardinale -, ma bisogna fare un lavoro previo di sensibilizzazione, facendo comprendere alla gente che passi simili vanno a favore del futuro di tutti. Potremmo, così, realizzare un lavoro di accoglienza sostanziale che eviti i conflitti e lo si può fare solo insieme con un impegno preparatorio. La prima risposta della Chiesa è quella del Buon Samaritano, ma ci devono essere politiche di respiro europeo. In questo siamo solo agli inizi».

Un ultimo pensiero è per la proposta, venuta da Caritas Internationalis, per l’apertura di corridoi umanitari, illustrata poco prima da Luciano Gualzetti, vicedirettore di Caritas Ambrosiana, e che potrebbe sconfiggere la criminalità che lucra sui viaggi dei disperati e offrire un sostegno coordinato a livello transnazionale. «Una proposta utile e importante – secondo l’Arcivescovo -, anche perché viviamo in un clima preoccupante di guerra e l’Italia è coinvolta più di altre Nazioni europee. In questo contesto, prima ordiniamo i fenomeni, più celermente diamo risposte ai problemi affrontabili, e meglio agiremo. Senza fare odiosi confronti con altre città italiane, compresa la nostra Capitale, dobbiamo dire che a Milano ci sono segni di risveglio, ma ciò ci obbliga a una nuova responsabilità su cosa significhi essere cittadini della nuova Europa. Un’epoca è finita, ma non sappiamo cosa stia arrivando, e luoghi come questo possono davvero aiutare a creare una cittadinanza di qualità». Anche perché – su questo concordano tutti -, come dice l’assessore alle Politiche Sociali del Comune, Pierfrancesco Majorino: «Dopo venti mesi non si può più parlare di emergenza». 

Infine, la visita alla Casa, tra coloratissime stanze di giochi per i bimbi e camerette, anche nell’area che Casa Suraya ha messo a disposizione, con venticinque posti, come partner del piano di “Residenzialità sociale temporanea”, il sistema cittadino che funzionerà per tutte le emergenze abitative.

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