La Vicesindaco: «Al centro delle nostre azioni c'è la persona, siamo protagonisti nel creare le condizioni per una civile convivenza. Sogno una città sempre aperta e accogliente»
di Annamaria
Braccini
L’Arcivescovo parla della gentilezza. Come legge questa indicazione, nel suo ruolo di amministratore pubblico e di donna, la vicesindaco di Milano Anna Scavuzzo? È lei a rispondere in prima persona: «Mi sono molto ritrovata nella lettura data dall’Arcivescovo sul tema della gentilezza applicata alla gestione della cosa pubblica, ancor più da donna impegnata in politica. Penso, infatti, che sia fondamentale coniugare, nell’azione amministrativa, forma e sostanza, facendo scelte che possano avere a cuore l’altro e il bene comune, dando risposte a chi fa domande con spirito di dovere nei confronti di tutta la città e allo stesso tempo verso i singoli cittadini e cittadine. Importante cercare sempre di farlo spiegando le proprie decisioni, nel rispetto delle opinioni altrui e interpretando il proprio ruolo non come volere di una parte, ma rappresentando il più possibile tutti. In questi anni di impegno politico a Palazzo Marino, mi sono occupata di educazione e sicurezza, due temi che riguardano da vicino la vita delle famiglie, dei bambini e della città tutta. Un’esperienza bellissima e complessa allo stesso tempo, che mi ha portato a dover misurare azioni e decisioni dal forte impatto sulla vita delle persone, cercando sempre un equilibrio tra fermezza e rispetto: penso che esercitare il potere significhi, infatti, avere sempre la misura di ciò che si fa, assumendosi con responsabilità e moralità i propri impegni. E in questo la gentilezza penso sia un atteggiamento prezioso per ricordare sempre che al centro delle nostre azioni vi è la persona».
Come si può rendere più partecipata e inclusiva Milano?
Innanzitutto recuperando il senso di una politica che non può occuparsi dell’oggi, che pur è importante nel quotidiano delle persone, ma che deve avere una prospettiva più ampia e più duratura. Includere significa non lasciare nessuno indietro, sforzandosi di abbracciare tutta la città e i suoi problemi, tutti gli attori e le loro risorse, non solo dal punto di vista economico. Ne sono un esempio le politiche per contrastare l’emergenza alimentare che abbiamo messo in campo e costruito negli anni, rappresentando una risposta corale in cui il Comune ha un ruolo di regia, ma non prevaricante rispetto alle esperienze dei tanti soggetti che da sempre si occupano di cibo e di povertà, creando le condizioni per una collaborazione e una partecipazione fra enti pubblici e privati, istituzioni e realtà del Terzo settore da sostenere.
È necessario cambiare i toni del confronto, sottolinea l’Arcivescovo, accennando anche al fenomeno dello scandalo della violenza sulle donne. Qual è il primo passo più urgente da compiere in questo senso?
Credo che sia necessario coinvolgere sia le donne, sia gli uomini in questo percorso di presa di coscienza della bellezza di rapporti sani, rispettosi, attenti. Allo stesso tempo occorre sostenere le donne con strumenti che permettano loro di sottrarsi a situazioni che le umiliano, accompagnandole in un percorso in cui scelgano di affidarsi con fiducia alle istituzioni. In questa alleanza tra uomini e donne sta la risposta di una società civile e di una comunità forte, capace di difendere chi è più debole e di assumersi la responsabilità di intervenire nelle situazioni di violenza, di paura, attuando politiche di sostegno concreto.
Come interpreta l’idea di essere «artigiano del bene comune»?
Come un modo per prendersi cura in modo attento, meticoloso e amorevole della cosa comune. Che è anche quello che sta alla base del buon funzionamento di una comunità: da cittadini, prima che come amministratori, siamo protagonisti nel creare le condizioni per una civile e rispettosa convivenza, lavorando ogni giorno a questo obiettivo nelle azioni quotidiane, di governo e nel supporto di chi ha più bisogno.
Qual è il sogno della vicesindaco di Milano per la sua città?
Fare politica oggi è certamente difficile e faticoso, ma continuo a pensare che sia uno dei modi migliori e più belli per mettersi al servizio della propria comunità, cercando di migliorare le condizioni di vita di tutti e di ciascuno, mettendoci entusiasmo e cuore. Il sogno che vorrei realizzare per la mia città è quello di vederla sempre aperta e accogliente, capace di promuovere politiche per la famiglia e di affrontare l’inverno demografico non solo a livello teorico, ma con strumenti, servizi, attenzioni che possano contribuire a invertire la rotta.