L'esponente di Sant'Egidio: «Il Discorso alla Città riannoda il filo con quella speranza che la pandemia sembra avere soffocato e con l’amicizia sociale che tutti possono riscoprire: in famiglia, a scuola, nel lavoro, nella sanità»

di Milena SANTERINI
Comunità di Sant’Egidio

Milena Santerini
Milena Santerini

Ci siamo trovati, in questi mesi, quasi a rinunciare alla speranza. Non per una chiara volontà o una scelta decisa, ma per una sottile rassegnazione e per paura del futuro. Tra i tanti rischi creati dalla pandemia e dall’effetto dei momenti tragici e straordinari che l’umanità ha vissuto a causa del Covid-19, c’è stato, infatti, anche un sottile ripiegamento, una stanchezza come quella delle vergini della parabola che, aspettando lo sposo, si addormentano e vedono spegnere le loro lampade.  

L’Avvento, però, scuote e risveglia le coscienze, e le parole dell’Arcivescovo nel Discorso alla Città interrogano perché non si diventi un «popolo smarrito e vagabondo che non sa il nome né il senso delle cose». Chiamano a una responsabilità personale come risposta. Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!» (Is 6, 8). Ma questa chiamata personale è in realtà l’invito a sognare insieme.

Ricorre la parola del futuro, sogno, nel Discorso di Sant’Ambrogio. Non si pensa al domani solo pianificando, o risparmiando, ma possiamo sognare insieme. È il sogno di Francesco d’Assisi di una pace vera; il sogno del cardinale Carlo Maria Martini per una Chiesa più aperta, più umile, capace di portare la parola semplice del Vangelo a tutti. È il sogno di papa Francesco che nella  Fratelli tutti scrive «Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!». Non si può sognare da soli, ma insieme, come un’unica umanità, dopo che le tante risposte che la società si sono date, quelle dell’ideologia, dell’individualismo e del liberismo, hanno fallito. 

Un sogno per Milano. Un sogno da costruire insieme, per una città buona e piena di compassione, dove tutti abbiano una casa, un lavoro, una mano, una parola. Il pensiero va alle periferie spesso tristi e buie, dove c’è rabbia dei giovani e solitudine degli anziani. Quando la vita non è una corsa a consumare, quando la pandemia spegne le luci, sembra ci sia un vuoto, che invece va riempito con quell’amicizia sociale che tutti possono riscoprire.

In questi mesi a Milano molti hanno chiesto aiuto, e molti hanno risposto. Il legame che ci unisce si è fatto più forte, e comprende tutti, nessuno escluso. C’è da far tornare tutti i bambini a scuola, perché nessuno si perda. C’è da curare tutti, nessuno resti senza salute. C’è da dare casa e lavoro, nessuno resti senza dignità. C’è da comprendere che non ci sono stranieri, rom, profughi, ma solo persone. C’è da tenere gli anziani a casa finché possibile e dare a tutti una famiglia. Le persone di strada non siano invisibili, ma volti.

Sognare insieme è possibile, e molto più reale delle illusioni di onnipotenza o le ubriacature del benessere. Costruire il futuro nasce proprio dall’aver perso la fiducia in quello che non valeva, e averla ritrovata nel tesoro nascosto nel campo. Come ha detto monsignor Delpini: «La compassione si è rivelata più profondamente radicata dell’indifferenza, Dio si è rivelato più vero dell’“io”».

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