L’Arcivescovo ha presieduto il Pontificale nella festa del compatrono: «Non è obbligatorio rassegnarsi all’incompiuto, non è un destino inevitabile la disperazione. C’è per tutti la vocazione alla pienezza di Cristo»
di Annamaria
Braccini
«In un tempo che consiglia di stare fermi, piuttosto che andare avanti, di accontentarsi piuttosto che coltivare grandi, nobili e affascinanti desideri, di difendere le posizioni occupate piuttosto che spingersi verso una terra promessa», tra gente che si accontenta del provvisorio e dell’incerto, dove «si è diffusa la persuasione che il futuro sia più da temere che da desiderare, per cui abitiamo una umanità incompiuta senza speranza di compimento», oggi, come 2000 anni fa, rimane una buona notizia da dare, così come fecero san Paolo, nelle sue difficoltà e san Carlo 15 secoli dopo. E adesso, che è trascorso un altro mezzo millennio, la missione non cambia.
I segni e i concelebranti
È un’omelia articolata (leggi qui il testo completo), piena di una speranza pienamente consapevole delle complessità del presente, quella che l’Arcivescovo offre ai fedeli che partecipano al Pontificale di san Carlo e ai sacerdoti che concelebrano la Messa: sei i Vescovi, tra cui il Vicario generale, i membri del Cem e i Canonici del Capitolo della Cattedrale. Molti i segni che parlano visivamente del Santo patrono con la presenza, particolarmente significativa, di coloro che rappresentano le Istituzioni fondate o rifondate dal Borromeo: il rettore del Seminario, don Enrico Castagna, accompagnato dai diaconi e dai seminaristi, il prevosto degli Oblati di San Carlo, padre Giulio Binaghi, il Moderator Curiae, monsignor Bruno Marinoni e l’arciprete del Duomo, monsignor Gianantonio Borgonovo. Non mancano gli appartenenti a Confraternite e Ordini cavallereschi legati alla memoria del primo Borromeo. L’Arcivescovo – che, per l’occasione, indossa l’anello, il pallio e porta il Pastorale di San Carlo con la croce pettorale donata alla Diocesi da Maria Teresa d’Austria – sottolinea subito un doppio riferimento tra l’epoca borromaica e la nostra.
Grazie a chi rende possibile il futuro
«All’inizio di una nuova epoca della storia della Chiesa, San Carlo, dopo il Concilio di Trento, anche per arginare il dilagare della riforma luterana, ha interpretato la molteplicità dei doni per il ministero in un modo specialmente clericale, investendo molto sulla formazione dei preti e aspettandosi molto dal clero. San Carlo, anche se in vita non è sembrato molto incline all’entusiasmo, si rallegra ora contemplando i molti frutti che la sua opera infaticabile ha portato, grazie alle virtù e alla dedizione del clero formato secondo le sue indicazioni. Forse stiamo vivendo anche noi un’epoca nuova della storia della Chiesa e neppure noi sembriamo tanto inclini all’entusiasmo. Ma lo Spirito di Dio continua a offrire i suoi doni, e anche se talora i contesti ecclesiali si presentano stanchi, un po’ rassegnati, un po’ scettici, Dio continua a chiamare gli uomini e le donne di questo tempo a edificare il corpo di Cristo, fino all’uomo perfetto, fino alla misura della pienezza di Cristo».
Da qui il «grazie» per tanti doni ricevuti: quello «degli apostoli che accolgono l’invito a partire, ad abitare con il Vangelo quei luoghi in cui è sconosciuto se non contestato e disprezzato. Uomini e donne, consacrati e laici, preti, diaconi, suore, mamme e papà, lavoratori e pensionati, professionisti e operai».
Grazie ai profeti che «sono quelli che hanno ricevuto il dono di dire una parola ispirata per interpretare questo tempo come tempo di missione. Forse hanno studiato in Seminario, forse all’università o non hanno studiato un granché, forse sono milanesi che parlano dialetto, sono italiani che parlano tutti i dialetti, forse sono gente che parla lingue di altri continenti, ma hanno una profezia per questa nostra Chiesa dalle genti».
E, ancora, grazie agli evangelisti: «I messaggeri di buone notizie, quelli che, di fronte alle miserie della storia e alla desolazione della miseria, all’assurdità della guerra, non indulgono al lamento o allo spavento, ma hanno buone notizie da dare. Rendiamo grazie per il dono dei pastori, i preti nelle loro varie responsabilità, coloro che nelle comunità si appassionano per convocare, animare, favorire l’incontro e la vita comune».
Infine, i maestri: «Le nonne e i nonni che insegnano a pregare e a vivere nel timore di Dio, mamme e papà, catechiste e catechisti che accompagnano nei percorsi di iniziazione cristiana, catecumeni giovani e adulti, insegnanti, chi accompagna verso il matrimonio, verso il presbiterato e verso il diaconato, verso la consacrazione nei diversi istituti di Vita consacrata. Uomini e donne senza incarico, senza specializzazione che, in ogni ambito dalla vita, raccolgono le domande, non si sottraggono alle sfide e alle provocazioni e insegnano e danno testimonianza che non è obbligatorio rassegnarsi all’incompiuto, non è un destino inevitabile la disperazione, che c’è invece per tutti la vocazione alla pienezza di Cristo».
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Successore di San Carlo
E, a conclusione dell’omelia, arriva anche un piccolo cenno autobiografico. «San Carlo si è dedicato a edificare il corpo di Cristo secondo l’ispirazione e il dono che ha ricevuto senza risparmiarsi fatiche e penitenze, senza evitare pericoli e senza scoraggiarsi di fronte alle resistenze. È riconosciuto dappertutto come un protagonista della sua epoca», scandisce, infatti, l’Arcivescovo.
«Si deve dire che per questo tempo, forse un’epoca nuova della storia della Chiesa, è stato scelto un vescovo che non ha certo la tempra di San Carlo. Forse è stato scelto perché non sia una specie di protagonista solitario, è stato scelto perché l’edificazione del corpo di Cristo sia cammino sinodale, che coinvolga apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri, non secondo un’interpretazione clericale, ma secondo quello che lo Spirito suscita in questo tempo tra i battezzati, tra i catecumeni, tra i seminaristi, i preti, i diaconi, i consacrati e le consacrate, e tutti i fratelli e le sorelle».
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