Non un'utopia da lasciare ai sognatori, ma qualcosa che si può realizzare attraverso «la vocazione offerta alla libertà chiamata a seguire la via di Gesù»: così monsignor Delpini nell'omelia per la quinta domenica d'Avvento
di Annamaria
Braccini
Lo scetticismo che pervade il nostro tempo, segnato da «guerre, stragi, divisioni», per cui sembra impossibile, fin dal principio del mondo, essere tutti fratelli. Ma poi quella «speranza che rende viva la storia, che convince a unire le forze per realizzare insieme il grande progetto»: la speranza che nasce dall’idea che «tutti siamo davvero fratelli, abbiamo la stessa dignità e diritto a essere felici».
Nella V domenica dell’Avvento ambrosiano, intitolata «Il Precursore», l’Arcivescovo prosegue la sua predicazione in Duomo nella Messa vespertina – concelebrata dai Canonici del Capitolo della Cattedrale -, proponendo ai molti fedeli presenti un’analisi severa, ma giusta, del presente della società (leggi qui il testo integrale dell’omelia). Richiamando il terzo capitolo della Lettera paolina ai Galati, appena proclamata, disegna infatti l’immagine di ciò che spesso ciascuno di noi è e dice. Come il non pensare «di poter vedere la guerra così da vicino, proprio in Europa, tra popoli che partecipano della stessa cultura e tradizione religiosa», magari ignorando (o più facilmente non volendo vedere) «le vicende di tanti Paesi del mondo dove la guerra è radicata come una tragedia senza tempo».
Eppure – osserva – «ci sono sempre stati e ci sono, in ogni tempo e in ogni luogo, uomini e donne di buona volontà che non sono disponibili per lo scoraggiamento, essendo convinti che si possa vivere insieme senza farsi del male, ma aiutandosi in ogni cosa. La fraternità universale non è una utopia da lasciare ai sognatori, è invece una conquista possibile: non è facile, e molti fallimenti della storia lo documentano, ma non è impossibile. Bisogna studiare le vie, unire le forze disponibili. Possiamo farcela ed è bello mettersi all’opera».
Ciò che unisce e non ciò che divide
Ma, appunto, come fare? «Bisogna cercare quello che può unire», la risposta, anche se i problemi non mancano nemmeno in questo orizzonte.
«Alcuni pensano che basterebbe essere ragionevoli, che tutti possono riconoscersi come appartenenti alla stessa umanità, incontrarsi e intendersi. Ma purtroppo è già difficile incontrarsi, figuriamoci poi intendersi. Presto la fraternità fondata sulla ragione si è rivelata insopportabile. Alcuni pensano che lo sviluppo economico, la produzione di beni di consumo, la creazione di un grande mercato, dove tutti possono vendere e comprare, unisca gli uomini. Ma, purtroppo, appena il grande mercato è stato inaugurato, invece che sedersi alla stessa mensa sono cominciate le discussioni», scandisce ancora l’Arcivescovo, che tuttavia aggiunge subito: «C’è una rivelazione che apre orizzonti nuovi; che non è frutto del buon senso ingenuo; c’è una parola che rivela la radice profonda della fraternità e la via promettente per costruirla; c’è una verità».
Tutti fratelli perché figli del Signore
E la verità è questa: «Tutti sono amati, tutti sono chiamati, tutti sono attesi». Tutti, come scrive San Paolo ai Galati: «Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio né femmina, tutti siete uno in Cristo Gesù». «Ciò che ci rende tutti fratelli è la grazia che ci chiama, è la promessa che chiede di essere creduta: non una conquista, non un’illusione, ma la vocazione offerta alla libertà chiamata a seguire la via di Gesù».
Per questo «coloro che si fidano della promessa si mettono in cammino: non rinunciano alla ragione, propongono una ragione che sia anche amore, speranza, compassione; non sottovalutano le condizioni materiali e propongono uno scambio di doni, un modo di interpretare il mercato che sia più che un commercio di cose, ma la genialità di ascoltare e condividere il significato delle cose, cioè la loro vocazione a essere dono».
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