Il risvolto “politico” di una comunicazione aggressiva, soprattutto sui social, al centro del prossimo incontro del percorso socio-politico diocesano: il 26 marzo a Monza interviene Milena Santerini
di Walter
MAGNONI
Continua il percorso di formazione socio-politica promosso dall’Arcidiocesi di Milano, che ha come filo rosso l’approfondimento dell’enciclica Fratelli tutti. Nel testo del Pontefice troviamo passi importanti di denuncia del modo con cui viene portata avanti la comunicazione nel nostro tempo: «I media digitali possono esporre al rischio di dipendenza, di isolamento e di progressiva perdita della realtà concreta, ostacolando lo sviluppo di relazioni interpersonali autentiche… I rapporti digitali, che dispensano dalla fatica di coltivare un’amicizia, una reciprocità stabile e anche un consenso che matura nel tempo, hanno un’apparenza di socievolezza. Non costruiscono veramente un “noi”, ma solitamente dissimulano e amplificano lo stesso individualismo che si esprime nella xenofobia e nel disprezzo dei deboli» (FT 43).
Vogliamo partire da queste parole di papa Francesco e chiedere a Milena Santerini di aiutarci a leggere tali dinamiche. Santerini lavora oggi sia in Università cattolica (dove è ordinario di Pedagogia), sia presso l’Istituto Giovanni Paolo II per la scienza del matrimonio e della famiglia (dove ricopre il ruolo di vicepreside); inoltre è coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo. L’incontro sul tema «Per una politica della fraternità: “La pace non è soltanto assenza di guerra”», si terrà sabato 26 marzo dalle 14.30 nella Sala Verde Ghezzi, in via Grigna 13 a Monza (info e iscrizioni: tel. 02.8556430; sociale@diocesi.milano.it – vedi qui la locandina).
Due forme di “odio”
Sarà importante distinguere tra quello che in gergo può essere definito «odio irriflesso» – che nasce da stati d’ansia, paure del diverso, situazioni di pressione psicologica e altre cause che portano la persona a cercare un “nemico” su cui riversare le proprie frustrazioni – e «odio cercato», che è una vera e propria strategia posta in atto attraverso la manipolazione delle parole. Il nostro tempo vede un crescendo esponenziale di «parole che feriscono» e non tutte sono solo frutto di un «odio irriflesso»: alcune hanno dietro precise scelte politiche e culturali.
La violenza e l’odio sono sempre esistiti: non a caso già nelle prime pagine della Bibbia troviamo il famoso episodio di Caino e Abele che arrivano a uccidersi. Caino ci narra l’incapacità di dominare l’istinto violento che abita il cuore dell’uomo. Ma l’enciclica Fratelli tutti pone un tema nuovo: quello di come i social tendano ad amplificare un tale fenomeno.
Nessuno resta anonimo
Potremmo oggi chiederci: che differenza c’è tra le parole dette al bar e quelle scritte sul web? Non credo servano analisi approfondite per mostrarci come le prime restano circoscritte a chi le ascolta quando vengono pronunciate, mentre le seconde possono diventare “virali” e fare il giro del mondo in pochi minuti.
Ma la grande differenza non è solo il livello di diffusione: c’è anche un secondo elemento, che potremmo chiamare il «presunto anonimato». Presunto, perché in realtà nessuno di noi è realmente davvero anonimo, ma tutti siamo “rintracciabili” in quanto il web lascia sempre “traccia” di ogni nostra azione. Scrive a tal proposito papa Francesco: «Questo favorisce il pullulare di forme insolite di aggressività, di insulti, maltrattamenti, offese, sferzate verbali fino a demolire la figura dell’altro, con una sfrenatezza che non potrebbe esistere nel contatto corpo a corpo perché finiremmo per distruggerci tutti a vicenda» (FT 44).
Impariamo a creare una cultura anche politica capace di maneggiare con maggior cura le parole. Sogniamo un tempo dove le parole ostili lascino spazio alle parole buone che edificano la società.