Il rapporto tra cibo e fede al centro di una tavola rotonda presso l’Archivio diocesano a cui hanno partecipato rappresentanti di differenti religioni. Monsignor Bressan: «Saremmo felici se Expo permettesse a tutti i suoi visitatori di sentirsi cittadini del mondo»
di Annamaria BRACCINI
«Il menù della felicità» esiste e ognuno può servirsene, a condizione di avere occhi capaci di vedere la realtà con consapevolezza responsabile e mani capaci di lavorare per la salvezza di ciò che ci circonda. È il grande menù del nutrimento spirituale, quello dell’anima che guarda al trascendente e non distrugge l’umanità e la terra. Per questo non c’era titolo migliore de «Il menù della felicità», per interrogarsi, a pochi giorni da Expo, sul grande tema del rapporto tra cibo e fede, attraverso un dialogo cui hanno partecipato rappresentanti di differenti religioni.
Scelta felice, per il clima che si è respirato nella tavola rotonda, moderata dal giornalista Gerolamo Fazzini nella bella sede dell’Archivio diocesano. In rigoroso ordine alfabetico, il confronto si è così articolato a partire dalle risposte a un panel di domande che a rivista ufficiale dell’Esposizione, Exponet, aveva inviato agli esponenti presenti all’incontro. Riflessioni che, come ha detto il direttore della rivista Molteni, saranno resi pubblici on line da questi giorni al 21 maggio quando, nella Giornata Mondiale della Diversità culturale per il Dialogo e lo Sviluppo, ci si ritroverà all’interno del sito espositivo.
E così, subito, con il vicario episcopale monsignor Luca Bressan, si è arrivati alla questione fondamentale, «quella di esplorare la responsabilità comune che le religioni hanno nel tenere alto lo sguardo. Saremmo felici se Expo permettesse a tutti coloro che la visiteranno di sentirsi cittadini del mondo». E se, come ha spiegato ancora Bressan, «l’Expo pare, in questi giorni, un evento “senza padri”, perché manca la capacità di sottolineare la portata culturale dell’evento», su questa dimensione è più che mai necessario, allora, approfondire la conoscenza reciproca.
«Il tema che ci si propone va inquadrato in una dimensione universale. Il segreto della felicità, come insegnano i maestri, è la ricerca del Bene superiore, Dio, altrimenti rischiamo di essere un’umanità in perenne ricerca. La declinazione dei benefici spirituali è realizzare una scienza dell’equilibrio costruita sul rapporto tra il credente e il Signore, tra il credente e il creato, tra il credente e fratelli, secondo la forma del “Misericordioso”, come dice la tradizione islamica – ha rilevato l’imam Hamid Distefano, della Commissione Affari giuridici della Comunità Religiosa Islamica italiana -. Che Expo sia l’occasione per ritrovare un orientamento sacrale della vita, che unisca il cielo e la terra con l’uomo al centro come mediatore».
Parole cui ha fatto eco il parroco della Chiesa Armena Apostolica Khachatryan Tovma – proprio oggi la grande beatificazione dei martiri del genocidio degli Armeni e, domani, il centesimo anniversario di quel dramma della storia hanno fatto memoria delle tragedie che continuano a consumarsi nel mondo -, che ha ricordato come «la parola felicità non esista nella Bibbia, ma come ve ne sia una ancora più bella, beatitudine, da conseguire attraverso tre precetti immortali: il digiuno, la preghiera e la carità, che portano a quella parsimonia che aiuta tutti i nostri fratelli».
Appassionato l’intervento del pastore della Chiesa Evangelica Valdese, Giuseppe Platone, che ha preso avvio dall’evidenza «che Dio ha un disegno personale su ciascuno e che, quindi, comprenderlo è la felicità che significa adempiere la volontà del Signore». E se tocca a noi scoprire i nostri “talenti”, «la dieta per nutrire questa felicità è quella di sfamarsi del pane della Parola di Dio, come dice l’ebreo Gesù». Richiamando che nella tradizione protestante non esistono prescrizioni religiose sul cibo, Platone ha aggiunto: «I nostri digiuni, spesso fatti per protestare contro le ingiustizie», sono un segno, ma la preghiera che può precedere il nutrirsi «ci ricorda, comunque, l’atteggiamento di sobrietà contro lo spreco che è un insulto verso chi non ha niente». In questo senso esemplare, secondo Platone, la cucina valdese con il suo piatto tipico, la “Zuppa Barboetta”, piatto poverissimo di pane secco in un brodo di gallina, con qualche pezzetto di salame. «Per entrare in Expo, ci aggrappiamo al concetto conciliare emerso a Vancouver nel 1983 nell’Assise Mondiale delle Chiese Cristiane: Pace, Giustizia e Salvaguardia del creato, in cui è chiara l’idea che, come Chiese, dobbiamo dare il buon esempio».
Come, peraltro, già accade nel mondo protestante con il progetto, divenuto realtà in otto Paesi europei, del “Gallo verde-Church for Planet”, il cui incontro, a Expo il 4 settembre venturo, è uno degli eventi promossi dal Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano.
«La diversità è ricchezza ed è una nostra risorsa», scandisce il rabbino Elias Richetti, che ricorda i 613 precetti biblici e le migliaia di quelli rabbinici che «non hanno altro scopo che insegnare all’ebreo e anche a chi non lo è, alcuni principi fondamentali. Non a caso, il primo divieto espresso nella Bibbia è alimentare, proprio a indicare che ciò di cui ci nutriamo non è nostra proprietà, ma è di Dio, che ce ne concede l’uso e non l’abuso. Il cibo – cosa creata -, merita lo stesso rispetto dell’uomo a sua volta essere creato». La cappellana della Chiesa Anglicana, Vickie Sims, annuisce e riflette: «Il cibo è dono di Dio e la terra è un giardino dato all’uomo da preservare con cura e amore. È bello vedere, nelle nostre Comunità, giovani molto interessati al mangiare in modo etico».
Poi, Hamsananda Ghiri, vicepresidente dell’Unione Induisti di Milano, e Tenzin Khenze, monaco dell’Istituto Studi Buddhismo tibetano Ghe Pel Ling, sottolineano entrambi, pur nelle differenze, «come tutte le tradizioni siano ispirate da un’unica grande verità, così i cibi sono molteplici. Non c’è un cibo migliore, ce n’è uno adatto per quella persona, per quella tradizione e Comunità». Insomma, a dire che senza responsabilità individuale, consapevolezza, etica come capacità di darsi delle regole, non si cambia il mondo. E questo è un dovere di tutti.
Le parole finali dell’archimandrita Theophilactos Vitsos, della Chiesa greco-ortodossa, sono quasi il sigillo della mattinata: «La felicità esiste quando non esageriamo e usiamo misura nelle nostre cose terrene. La dimensione ascetica è fondamentale e può aiutarci a vedere le cose più profondamente. Il digiuno altrettanto importante nella sua dimensione escatologica, perché come accade nella tradizione ortodossa, digiunando si partecipa a questo desiderio di infinito».