Nella I Domenica l’Arcivescovo ha presieduto in Duomo la Messa con il Rito dell’imposizione delle ceneri. «Vivere la penitenza, la riconciliazione, la carità spicciola e quella lungimirante»
di Annamaria
Braccini
La vita che è vuota anche se si ha «potere, gloria, ricchezza» per la «disperata vacuità di avere tutto e di non avere abbastanza». O, magari, vivere di una vita «che non interessa a nessuno» o «che sia tribolata, fatta di miseria umiliante, di disgrazie che non si stancano mai di infierire sulle persona amate, sulla salute, sulla buona fama, sul lavoro».
In ogni caso, «vivere di una vita che si disfa, di una vita che non sa perché, che non pone domande, che non sa donde venga e dove vada, vivere in una frenesia di informazioni, in un affollarsi di emozioni, in una moltitudine di contatti, messaggi, immagini, tutto così rapido che passa senza lasciar traccia, talora lasciando molte ferite che non sono autorizzate a diventare domande, proteste, invocazioni».
È la fotografia di un oggi che conosciamo tutti molto bene, quella che l’Arcivescovo delinea nell’omelia della Celebrazione, che presiede in Duomo, nella I Domenica della Quaresima ambrosiana. Definita – in apertura della Messa concelebrata dai Canonici del Capitolo metropolitano – «Quaresima che ha qualcosa di singolare e di straordinario» per il momento di pandemia che continuiamo a vivere. «Siccome prevedibilmente più complicata, noi dovremmo essere più semplici; siccome possiamo immaginare che non si possano fare molte cose, che eravamo abituati a fare, dovremmo fare bene, meglio, più intensamente e in profondità, quello che sempre la Quaresima ci chiede: il silenzio, la sobrietà, lo sguardo rivolto al Cristo crocifisso. Entriamo con volonterosa letizia in questo tempo e disponiamoci a ricevere le ceneri come segno di vita nuova».
Dunque, un tempo di penitenza, ma soprattutto di conversione perché «nel deserto dei 40 giorni si confrontano e si sfidano le due scelte opposte: quella del tentatore che presenta come desiderabile un vivere che si concentri su di sé, sul potere, sul prestigio e quella del Signore Gesù che vive della Parola che esce dalla bocca di Dio».
Vita, quest’ultima, che si nutre di un “pane quotidiano” che è più di quello necessario ogni giorno, «un pane che non è solo “cosa”», ma, appunto «sostanza di vita». “Epiousios” – secondo il termine greco utilizzato dagli evangelisti – che il vescovo Mario ha voluto come titolo della sua preghiera serale con cui entrerà virtualmente – attraverso televisione, radio e social – nelle nostre case. «Vorrei condividere un po’ di questo pane, perciò l’intervento si chiamerà “Epiousios, il pane di oggi, 20,32” come spiega lui stesso.
«Siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo su Gesù, per imparare che cosa sia la vita e come sia possibile vivere di una vita che riceva da Dio un’abitazione, una dimora, non costruita da mani di uomo, eterna, nei cieli». Un’esistenza «di pace e di riconciliazione che sa invocare il perdono e concedere il perdono, riconoscere i peccati non per sentirsi umiliati, ma per imparare a pregare, a confidare in Dio, a rallegrarsi del perdono ricevuto». Un “cambiare il cuore” che trova in Quaresima un tempo particolarmente propizio «per accogliere la Parola che invita a conversione e invocare il perdono dei peccati nel sincero pentimento, nella celebrazione dell’Eucaristia e del sacramento della Riconciliazione, con Dio e con i fratelli, nella Santa Chiesa di Dio».
Tempo, dunque – come sottolinea ancora l’Arcivescovo -, «per una rinnovata fiducia e un lieto avviare processi di pace», tenendo fisso lo sguardo su Gesù, nella «vocazione della umanità alla fraternità universale».
Tempo di una carità «spicciola, del buon vicinato, del perdono vicendevole in famiglia, nei rapporti della quotidianità che può ospitare la Gloria di Dio, se si scuote il grigiore della banalità e della meschinità» e di una carità «lungimirante, carità politica» nella «dedizione responsabile al servizio del bene comune in una società che affronta la sfida di una ricostruzione di molti aspetti stravolti dall’epidemia».
In una parola, «la carità che prova compassione per ogni miseria che affligge l’umanità e che, perciò, diventa solidarietà con tutti i popoli e cura per la casa comune».
E, allora, si tratta di «chiedere la grazia di vivere della vita dei figli di Dio, lieti di essere vivi: vivere la vita come vocazione al compimento, come comunione con il Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo».
Infine, dopo la benedizione, il rito dell’imposizione delle ceneri che il penitenziere maggiore della Cattedrale, monsignor Fausto Gilardi, compie sul capo dell’Arcivescovo il quale, a sua volta, impone le ceneri ai Canonici che, poi, le portano ai fedeli.
Infine, ancora un pensiero «per tutti coloro che vivono questi momenti con un particolare strazio di fronte all’impotenza educativa: tanti genitori, educatori, insegnanti, preti che costatano, talvolta, esiti drammatici del loro impegno con i ragazzi, gli adolescenti, i giovani. Invito a pregare perché troviamo in Dio forza e luce per affrontare questa emergenza educativa, tra le tante che dobbiamo affrontare», conclude l’Arcivescovo che, in serata presso il Santuario “San Pietro Martire” di Seveso, pregherà proprio per l’emergenza educativa, invitando tutta la Diocesi a unirsi idealmente a lui.