Redazione

di Silvano Stracca

Con Giovanni Paolo II anche Internet entra in Vaticano. E’ il 22 novembre 2001, con un clic su un computer portatile, Papa Wojtyla invia per la prima volta per e-mail a diocesi lontane un documento appena firmato, l’esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Oceania, che avrebbe voluto promulgare di persona nel continente immerso nel Pacifico, «ma non è stato possibile» per l’eccessiva lunghezza del viaggio.

Con quel clic Giovanni Paolo II, che appare incuriosito e contento della moderna forma di comunicazione, ufficializza il fatto che Internet rappresenta «una nuova frontiera» per la missione della Chiesa. «Non si abbia paura a “prendere il largo” nel vasto oceano informatico», afferma poco tempo dopo, riprendendo lo slogan da lui coniato per la Chiesa del post-Giubileo: «Non abbiate paura delle nuove tecnologie», ribadisce nella lettera apostolica Il rapido sviluppo dei media, firmata il 24 gennaio 2005.

Ma l’invito ad accettare la sfida dei media risale a più lontano ancora nel tempo. Ai giorni successivi all’elezione, quando riceve i 1500 giornalisti arrivati a Roma per seguire il Conclave. Al momento di lasciare l’aula delle benedizioni, Giovanni Paolo II sconvolge infatti il compassato cerimoniale pontificio, dando vita a una vera e propria “conferenza stampa itinerante”. Si ferma a parlare con tutti i rappresentanti della carta stampata, della radio, della televisione. Stringe centinaia di mani. Risponde a ogni domanda. Più volte prende lui stesso i microfoni “sospesi” sulla sua testa. Rilascia “interviste” a cronisti increduli. Si rivolge in polacco ai polacchi, in tedesco ai tedeschi, in inglese agli inglesi, in francese ai francesi, in spagnolo agli spagnoli, in italiano agli italiani.

Conferenze stampe “itineranti” ce ne saranno molte. A otto, diecimila metri di quota. Mentre l’aereo sorvola gli Oceani, il Sahara, la Siberia. Nessun preavviso per gli operatori dei media. Giusto il tempo di preparare taccuini, registratori, microfoni, telecamere. E il Papa, senza alcun imbarazzo, accetta qualsiasi domanda. Sulla vita della Chiesa: l’ordinazione delle donne, il celibato dei preti, le finanze vaticane, i “costi” dei viaggi papali, la politica internazionale.

Giovanni Paolo II è un personaggio “mediatico”. Dovunque vada, qualunque cosa faccia o dica, “fa notizia”. Nessun’altra personalità del secolo riceve tanta attenzione in ogni tipo di media, stampato, elettronico, radiofonico o televisivo. Il Papa conosce le risorse positive, ma anche i pericoli degli strumenti della comunicazione sociale. Mette in guardia contro ricorrenti e inaccettabili abusi nel loro uso. Sottolinea ripetutamente che il mezzo non deve mai tradire il messaggio e che la comunicazione deve sempre ispirarsi alla valorizzazione della persona umana.

Per l’esperienza diretta vissuta sotto il regime comunista, Giovanni Paolo II si rivela particolarmente sensibile all’esigenza che sia evitata ogni forma di condizionamento e di limitazione della libertà d’informazione. L’autentica libertà consiste, a suo avviso, in una «sintesi vitale tra autonomia, verità, senso del bene comune e senso della responsabilità». Coerentemente, sostiene, il dovere di «cercare e riferire la verità», proprio dei media, presuppone, accanto all’onestà dei giornalisti, che essi e i mezzi nei quali operano siano «liberi» da pressioni e dal «controllo governativo».

Il tema dell’indipendenza dell’informazione – precisa ancora – coinvolge sia i giornalisti, che hanno il «grave dovere», ossia la responsabilità morale di «resistere alle pressioni» ad adattare la verità «per soddisfare le pretese dei ricchi e del potere politico», sia gli stessi mass media «che hanno una responsabilità ineluttabile in questo senso». Infatti, se «spesso rendono un servizio coraggioso alla verità», talvolta «funzionano come agenti di propaganda e di disinformazione al servizio di interessi ristretti, di pregiudizi nazionali, etnici, razziali e religiosi, di false ideologie».

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