La parrocchia di San Benedetto - Don Orione a Milano ospita molte famiglie e per loro ha pensato a momenti di festa il 31 dicembre e il 7 gennaio (Natale per gli ortodossi). Qualcuno trascorrerà il 25 dicembre ospite di una famiglia milanese
di Claudio
Urbano
Proprio quest’anno la Chiesa ortodossa ucraina ha autorizzato a celebrare il Natale il 25 dicembre, allineandosi con il calendario gregoriano, mentre nel calendario liturgico giuliano (seguito dalle Chiese ortodosse slave e anche dalle Chiese cattoliche orientali) la festa cade il 7 gennaio. Una decisione in cui certamente si è fatta sentire la volontà di distaccarsi progressivamente dalla tradizione ortodossa russa, sebbene il passaggio non sia improvviso: in Ucraina, dove insieme agli ortodossi convivono ampie minoranze cattoliche e protestanti, il 25 dicembre è un giorno festivo dal 2017, e già da alcuni anni la Chiesa ortodossa di Kiev sta riflettendo sul cambiamento di data.
Naturalmente, però, le tradizioni non si cambiano dall’oggi al domani. E così molte delle famiglie ucraine ospitate nella parrocchia di San Benedetto – Don Orione a Milano, che sono di tradizione ortodossa, il Natale lo festeggeranno, come sempre, il 7 gennaio. «Proprio per il 7 e per l’ultimo dell’anno stiamo pensando a organizzare un momento di festa in parrocchia», spiega Clelia Lucenti, che si fa portavoce dei tanti volontari del Don Orione.
Il peso del distacco
Per il resto saranno feste vissute lontano da casa, mentre la guerra va avanti, in una situazione ancora più difficile di quella dei mesi scorsi. Due ragazze, per esempio, riescono a parlare con le loro mamme, rimaste in Ucraina, solo quando loro hanno il cellulare carico. Anche per questo, «con le famiglie non abbiamo parlato di come vivranno il Natale», riferisce la volontaria. Perché, come per tutti i momenti che si vivono insieme alle persone più care, quando gli affetti sono lontani il disagio di chi è in difficoltà si acuisce ancor di più. «Aver lasciato le famiglie in Ucraina ha dunque il suo peso – sottolinea Lucenti – e noi cerchiamo di far pesare questo distacco il meno possibile». Intanto, qualcuno ha invitato a casa una famiglia ucraina per il pranzo del 25. «Sono gesti che nascono spontaneamente», mette in luce la volontaria, nel segno della gratuità.
Il passaparola dell’accoglienza
Non si ferma, intanto, tutta la “macchina” dell’accoglienza, che si è messa in moto già nelle prime settimane di marzo, grazie all’iniziativa del parroco don Luigino Brolese e di don Flaviu Enache (ora missionario in Amazzonia). «In pochi giorni ci siamo trovati in più di 50 volontari, parrocchiani ma anche tantissimi che sono arrivati con il passaparola», ricorda Lucenti. Così è stato possibile avviare subito una scuola di italiano organizzata tutti i pomeriggi, con tre classi frequentate dalle mamme, oltre che per i ragazzi, dalle elementari fino agli adolescenti. La parrocchia di Don Orione è arrivata ad ospitare fino a 46 famiglie, per un totale di 119 persone. Ora i nuclei familiari sono 22, di cui 4 ospitati direttamente da famiglie italiane.
Tra le iniziative di questi giorni l’esposizione «Sfidando i mostri. Il diario di guerra di Margo” (fino al 21 dicembre, dalle 11 alle 18, allo spazio Looking for art di via Romolo Gessi 28), in cui Margo, ragazzina di Kiev di 13 anni, arrivata in Italia portando con sé taccuini, matite e penne per non interrompere la sua passione per il disegno, mette in mostra nei suoi disegni di forte impatto i sentimenti, le paure, i fantasmi che invadono la mente di chi soffre la guerra (vedi qui la locandina).
Restano le necessità più concrete: i volontari moltiplicano le iniziative di raccolta fondi, dalla vendita di dolci al concerto natalizio, e hanno lanciato un appello per mettere a disposizione appartamenti con un affitto calmierato, che possa essere coperto sia dalla comunità sia dagli ucraini che già hanno trovato lavoro.
Qual è il segreto per continuare? «Da subito ci siamo dati l’obiettivo non solo di rispondere all’emergenza, ma di una vera e propria accoglienza», sottolinea Lucenti. E i volontari raccontano di essere stati «stravolti» positivamente dall’esperienza di questi mesi.
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