Don Gabriele Gioia, responsabile della Comunità pastorale San Maurizio di Cassano Magnago: «I problemi del nostro tempo sono un’occasione di crescita nella fede». Suor Maristella dell’Annunciazione, priora del Monastero San Benedetto di Milano: «La fragilità delle nostre comunità un stimolo a essere più attente alle debolezze»
di Annamaria BRACCINI
«Al di là della comprensibile emozione di quell’incontro, in me rimane intenso il ricordo del clima di ascolto nei confronti del Santo Padre che ho percepito e che, nei giorni successivi, ho avuto modo di verificare parlando con altri confratelli e con suore e persone consacrate»: don Gabriele Gioia, responsabile della Comunità pastorale San Maurizio di Cassano Magnago, è il sacerdote che in Duomo ha rivolto una domanda a papa Francesco, provando certamente un’emozione supplementare rispetto a tutti gli altri presbiteri che affollavano la Cattedrale; ma due settimane dopo, ciò che tiene a sottolineare è il senso complessivo di «un momento bello perché vissuto nell’ascolto intenso e nel dialogo». Poi, come è ovvio, ci sono i contenuti dell’incontro, sui quali, dice, «sto lavorando molto, riprendendo quanto il Papa ci ha detto sulle sfide che hanno una componente positiva per la Chiesa, che fanno bene al nostro essere Chiesa e anche per non smarrire mai la gioia di evangelizzare. Infatti non dobbiamo cogliere il tempo problematico che stiamo vivendo come una negatività, ma come un’occasione di crescita nella nostra fede e nel nostro essere evangelizzatori».
Un invito ad affrontare le sfide che rimane nel cuore anche di suor Maristella dell’Annunciazione, benedettina dell’Adorazione perpetua, Madre priora del Monastero di clausura San Benedetto nel cuore di Milano: «Ricordo le parole con cui il Papa ci ha chiesto di non avere paura delle sfide, di prendere “il toro per le corna”. Penso soprattutto a noi suore: ci ha spiegato che non dobbiamo rassegnarci, in quanto la rassegnazione fa scivolare nell’accidia, una malattia spirituale contro cui i monaci e le monache di tutti i tempi hanno sempre lottato». «Continuo a riflettere su alcune parole che mi tornano spesso alla mente – prosegue -: “Potete anche essere poche, potete essere ormai anziane, ma non rassegnatevi e ricordate soprattutto che i vostri fondatori e fondatrici non guardavano i numeri, ma guardavano unicamente a Gesù”. Questo mi pare un punto cruciale: occorre non avere e non coltivare il complesso di essere minoranza, ma dobbiamo unicamente guardare a Cristo, con fiducia e sereno abbandono. La fragilità che noi oggi viviamo come comunità religiose può essere anche un’occasione per essere più attente alle debolezze, immancabili ovunque. Qui nasce ciò che mi sembra uno dei frutti duraturi della presenza del Papa tra noi: la convinta spinta a non cedere, a vedere la possibilità di portare i pesi le une delle altre, di poterci sostenere a vicenda proprio perché ormai siamo poche. Anche nel nostro monastero alcune sono anziane e hanno problemi di salute; quindi, da questo sguardo compassionevole e misericordioso che ci scambiamo all’interno della comunità, può nascere una visione ampia, allargata, altrettanto attenta, alle debolezze, alle piaghe, alle sofferenze, alla condizione umana che portano nel cuore, o a volte nel corpo, i fratelli e le sorelle che vivono fuori dal monastero. È un invito molto forte, insomma, che ci obbliga anche a una grande responsabilità tra noi religiose e verso l’esterno: un non scoraggiarci che sia anche un valorizzare la situazione in cui ci troviamo come occasione di grazia».