L’esperienza delle Clarisse del Monastero milanese nella zona di Gorla: 18 religiose la cui giornata è scandita da liturgie e momenti di raccoglimento. «Nel silenzio raccogliamo una sete profonda di relazione con il Signore»
di Annamaria
Braccini
Pregare incessantemente nel centro della città secolarizzata. È quello che accade in diversi conventi di clausura che arricchiscono la città, spesso in oasi di pace e di silenzio che, magari nascoste dietro una semplice cancellata e un muretto di cinta, sono completamente sconosciute alla maggior parte degli milanesi. Cuori pulsanti di vita, di contemplazione, di spiritualità nutrita dalla preghiera come è quello delle Clarisse del monastero di Santa Chiara in piazza Piccoli Martiri nella zona di Gorla, dove vivono e, appunto, pregano 18 sorelle, tra cui suor Chiara Veronica, 68 anni, claustrale da 41.
Cosa significa pregare oggi e come si articola la vostra preghiera durante la giornata?
Proprio perché siamo sorelle dedite alla vita contemplativa, abbiamo un’espressione della preghiera che ci contraddistingue, la Liturgia delle Ore, che trova la sua sorgente nella forza della celebrazione eucaristica: la Messa e la Liturgia delle Ore sono il cuore della nostra giornata, che s’impregna interamente di questa preghiera. Celebrare Dio nel tempo è un compito affidato alla vita monastica: «Sette volte al giorno io ti lodo», dice il Salmo, e di fatto noi andiamo in coro per la preghiera sette volte al giorno, dalla mattina presto per concludere con il momento disteso del Vespro, della meditazione, e poi, al termine, della giornata con la Compieta. La preghiera comunitaria è alle 6.30, mentre quella personale inizia per ciascuna prima. La preghiera del Vespro è alle 21.
Voi siete inserite in pieno nel contesto cittadino. Avete contatti con persone che vi chiedono preghiere, gente che affida a voi le proprie tribolazioni?
Sì, certamente, in modo pressoché continuo, sia con persone che vengono in monastero, sia con coloro che telefonano e chiedono la nostra preghiera. Questo ci dice che c’è un grande bisogno di preghiera, non tanto come una ricerca di formule, di modalità, ma come una sete profonda di relazione e di silenzio, di trovare o ritrovare quel “tu” che è Dio di cui si avverte una profonda nostalgia. La nostra società, che cerca di confondere questo “tu” con tanto altro, in verità ha bisogno di Dio.
Avete deciso, magari durante la pandemia o con lo scoppio della guerra russo-ucraina, di dedicare preghiere specifiche ad alcuni ambiti o situazioni particolarmente dolorose?
La preghiera non è identificabile con le preghiere: queste ultime sono un’esigenza, ma la preghiera in quanto tale è soprattutto una dimensione del cuore, una relazione con il Signore. Nei momenti cruciali della vita, nelle situazioni che ci vengono affidate o delle quali veniamo a conoscenza o per quello che il mondo sta vivendo adesso, capita – lo dico per esperienza personale e comunitaria – di moltiplicare non tanto le preghiere, ma di intensificare la relazione con il Signore, di stare davanti a Lui come le sentinelle che gridano il desiderio della speranza, il desiderio della pace.
Quale è il suo ruolo in Monastero?
Ne ho ricoperti tanti, ma credo che il più bello e quello che veramente mi qualifica sia proprio la preghiera. Noi siamo Sorelle Povere, perché ricche di questo rapporto che ci è dato in dono: la preghiera è un fiume in cui siamo immerse per grazia e che continua a scorrere, accogliendo al suo interno tutte le persone, tutto il mondo e tutta la città di Milano che abbiamo intorno a noi e di cui ci sentiamo di fare parte integrante.