L’Arcivescovo ha presieduto, nella basilica di Santo Stefano, la Messa per le Acli di Milano Monza e Brianza. «Dite la parola della speranza che si alimenta dalla forza della preghiera, dalla gioia del Vangelo, dalla resistenza nella solitudine»
di Annamaria
BRACCINI
«La stima che ho per voi e per quello che fate dice quell’essere insieme, certi dell’aiuto di Dio che ci rende capaci di speranza, di serenità e di fortezza. Vorrei che ciascun Circolo, Ente, iniziativa delle Acli sentisse il supporto, l’incoraggiamento, l’apprezzamento mio personale e della Chiesa diocesana».
Nelle parole che accompagnano la benedizione dell’Arcivescovo rivolta ai rappresentanti delle Acli Milano Monza e Brianza, riuniti nella basilica di Santo Stefano Maggiore per la Celebrazione di suffragio degli associati scomparsi, si respira il senso di un’amicizia e di un’alleanza vissute per il bene comune. Lavorando insieme per essere «più eguali: per una città sostenibile, aperta e inclusiva», usando il titolo del XXXI Congresso elettivo dell’Associazione, svoltosi il 3 ottobre scorso con la presenza di oltre 200 delegati – espressione di 40.000 iscritti -, impegnati a eleggere il nuovo Consiglio provinciale. Consiglio che, a sua volta, martedì prossimo esprimerà il presidente provinciale.
Concelebrano la Messa, alla quale prendono parte anche il presidente uscente, Paolo Petracca e alcuni membri della Presidenza, monsignor Luca Bressan, vicario episcopale per la Cultura, la Carità, la Missione e l’Azione sociale – settore in cui è inserito il Coordinamento diocesano Associazioni, Movimenti e Gruppi – e don Alberto Vitali, delegato arcivescovile per le Acli milanesi che, nel suo saluto ricorda le 3 «fedeltà» acliste. «Fedeltà alla Chiesa, al lavoro e alla democrazia», da rileggere alla luce dell’unica fedeltà ai poveri che il papa indicò all’Associazione nel 2015. Prospettiva, questa, che torna quando, nell’omelia, il vescovo Mario chiede alle ACLI di essere «un messaggio».
La riflessione dell’Arcivescovo
«Avete qualche cosa da dire, come discepoli del Signore associati nelle ACLI, al popolo delle minuzie, alla gente che vive ossessionata dai particolari, sospesa a ogni statistica, indaffarata in mille attenzioni, curiosità, banalità? Al popolo che vive rinchiuso nel presente, gaudente del piacere a portata di mano, accomodato nell’indifferenza rispetto alle situazioni degli altri e alle sorti del mondo? Alla gente che vive nell’angoscia, nella paura, schiacciata dalla persuasione della catastrofe imminente, pronto a cogliere ogni notizia di cronaca come conferma del disastro?». Sì le ACLI hanno qualcosa da dire – la risposta dell’Arcivescovo -, perché «sono un messaggio, perché sono presenza capillare, proprio perché sono intraprendenza solidale, progettualità coraggiosa e sollecitudine formativa costante. La parola che avete, che abbiamo da dire è la parola della speranza».
Tre gli spunti di riflessione. «La parola della speranza è l’eco della preghiera. Non siamo chiamati a essere ottimisti per professione, autocelebrativi per propaganda, programmatori del futuro per ambizione e puntiglio. La comunità cristiana di questo nostro tempo è chiamata a essere una comunità che prega».
Se, infatti, «la dimensione contemplativa della vita» (il pensiero non può che andare al cardinal Martini che così intitolò la sua prima Lettera pastorale), «sembra oggi una dimensione censurata oppure sfigurata in una coltivazione di spiritualità funzionale a “stare bene con se stessi”, i discepoli di Gesù vivono tale dimensione e sanno che senza di lui non possono fare niente».
Il secondo spunto viene «dall’annuncio dell’umanità possibile».
«Non siamo mandati per discorsi astratti o devoti, per i luoghi comuni del linguaggio ecclesiastico ripetuto per inerzia con citazioni rassicuranti. La parola che dobbiamo consegnare con le nostre opere, con la nostra testimonianza, con i nostri discorsi, è la promessa di Gesù per una umanità possibile».
Il Vangelo – sottolinea ancora monsignor Delpini – «non disegna un progetto politico, una organizzazione associativa o un programma operativo, ma se la politica, l’organizzazione, i programmi non si ispirano al Vangelo sono esposti al rischio di parzialità e di personalismi che alimentano tensioni, contrapposizioni, compromessi».
Da qui, l’appello. «Noi, ma in particolare i laici impegnati e associati, per seminare parole di speranza nella vita quotidiana e nelle tribolazioni della storia, sentiamo la responsabilità di indicare e di praticare una convivenza civile, una solidarietà efficiente, una proposta formativa che renda desiderabile vivere in questa terra, in questa società, in questo mondo del lavoro». Il riferimento non può che essere ai pronunciamenti di papa Francesco, fino alla recentissima Enciclica, “Fratelli tutti”, le cui copie vengono donate a tutti i presenti.
Infine, l’invito è a non scoraggiarsi mai e «a pagare di persona», quando «viene il momento della solitudine, talora solo avvertita, talora drammaticamente reale».
«Si cercano perciò uomini e donne che abbiano radici così profonde da non lasciarsi abbattere, si cercano uomini e donne che sanno cercare alleanza e collaborazioni anche quando gli altri non la cercano e non le desiderano, che siano così desiderosi di giungere alla terra promessa da non meravigliarsi se devono attraversare deserti».
Poi, la preghiera universale – in cui si invocano giustizia, equità, rispetto del lavoro e della dignità di ogni persona, ribadendo l’impegno aclista per i fragili e i più poveri della società – e la lettura, nel silenzio, dei nomi degli associati scomparsi negli ultimi 4 anni, tra cui figure storiche delle Acli milanesi come Giovanni Bianchi e Angelo Levati che aprono l’elenco.