Nella giornata dedicata alla commemorazione dei defunti, oltre alle visite di preghiera nei cimiteri cittadini l'Arcivescovo ha presieduto due celebrazioni a Bruzzano e in Duomo

L'Arcivescovo a Bruzzano
L'Arcivescovo a Bruzzano

di Annamaria BRACCINI

«Siamo qui riuniti in preghiera perché la luce della Pasqua di Gesù illumini anche i percorsi oscuri che paiono perdersi nelle tenebre». Quella luce che, venendo dalla croce di risurrezione del Signore, è simboleggiata dal cero realizzato dalla Clarisse del Monastero di clausura in zona Gorla a Milano, che l’Arcivescovo accende – così come ha fatto visitando oggi gli altri cimiteri cittadini, dove ha sostato in preghiera in diverse ore del giorno della commemorazione dei defunti -, mentre nel grande spazio all’aperto all’ingresso del camposanto di Bruzzano presiede la Messa, concelebrata da otto sacerdoti, tra cui il decano di Affori don Tommaso Castiglioni. Due i Decanati che fanno riferimento a Bruzzano, Niguarda-Zara e Affori, cui si aggiunge il quartiere di Quarto Oggiaro.

Presenti Gaia Romani, assessore ai Servizi Civici e Cimiteriali (in rappresentanza del Sindaco), il presidente del Consiglio municipale del Municipio 9 Stefano Indovino e molti fedeli, il saluto di benvenuto è porto dal diacono permanente Claudio Moneta, che svolge il suo servizio nel Cimitero e dice: «Qui cerchiamo di offrire la nostra compartecipazione al dolore di tante sorelle e fratelli, tenendo costantemente fisso lo sguardo alla Gerusalemme celeste». 

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Quelli che seminano morte

A tutti si rivolge l’Arcivescovo che parla della tanta, troppa «morte sbagliata» che attraversa il nostro tempo: «Gli uomini si impegnano troppo per seminare morte: in guerra, per pazzia, per violenza domestica… La morte stupida, assurda come quella di coloro che la trovano in mare e trasformano il Mediterraneo in un grande cimitero. Così come la morte cercata persino nella giovinezza derubata della speranza, la morte che spegne la vita prima che venga alla luce e quella di chi vede nell’altro un nemico, una presenza insopportabile e uccide».

L’Arcivescovo durante l’omelia

L’imbarazzo della speranza

Di fronte a ciò che pare «l’epidemia della stanchezza di vivere», se non si desidera un futuro, «perché, allora, meravigliarsi della morte ingiusta?», chiede l’Arcivescovo, che non si nasconde un certo imbarazzo nel dichiarare la speranza, anche tra i cristiani: «È come se essere uomini, missionari della speranza, fosse oggi un’ingenuità. Avremmo molti argomenti per arginare la follia della morte dilagante, molti testimoni, ma chi ascolta o impara la lezione della storia? – nota infatti -. Ma abbiamo ancora parole da dire che siano comprensibili alle donne e agli uomini del nostro tempo?». Forse no, ma proprio per questo, suggerisce, «noi siamo qui a celebrare l’Eucaristia» che non è «una parola che dipende da una sapienza mondana».

Fedeli in raccoglimento

La vita che non teme la morte

Da qui la conclusione: «Perciò mettiamo da parte i nostri buoni sentimenti, facciamo silenzio e celebriamo l’eucaristia come se dicessimo che questo solo possiamo fare che non sia inutile di fronte alla morte: fare memoria di Gesù e cogliere che il Signore vuole attirare tutti a sé. Così la sua morte ingiusta diventa principio di vita. Noi discepoli non viviamo in una fantasia del lieto fine dei racconti per i bambini, ma la vocazione alla sequela, ricevendo la rivelazione che questa vita merita di essere vissuta e donata, perché è eterna e non teme la morte. È la vita di Dio. Noi cantiamo l’alleluia, la festa dei redenti, non perché non vediamo quanta morte sbagliata intristisca la terra, ma perché vediamo una presenza che salva. Non abbiamo niente da dare e da dire a chi è così provato dalla vita, se non l’Eucaristia».

Parole di speranza, queste, risuonate anche nell’omelia in Duomo (leggi qui), nella celebrazione presieduta dall’Arcivescovo e concelebrata dai Canonici del Capitolo metropolitano, come tradizione la sera del 2 novembre, per tutti i defunti della Diocesi. Di fronte alla «inedita follia» del dilagare della «morte sbagliata», i discepoli di Gesù – pur sentendosi «talora così imbarazzati da sospettare di essere un anacronismo» – hanno una sola risposta: celebrano l’Eucaristia, e così facendo «diventano partecipi della vita di Gesù», «una vita che merita di essere vissuta, di essere donata, una vita che la morte non può vincere, la vita eterna».

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