Parlando ai gruppi parrocchiali nel loro XIX convegno diocesano, l’Arcivescovo ha richiamato alcuni punti: formazione degli operatori, cura delle celebrazioni, coinvolgimento dell’assemblea oltre «l’inerzia» provocata dalla pandemia

di Annamaria Braccini

Gruppi liturgici

Un incontro per far crescere nelle comunità la consapevolezza che la liturgia apre all’incontro con il Signore. Con questo significato si è svolto, presso il Centro Schuster di via Sant’Antonio a Milano, il XIX convegno dei responsabili dei Gruppi liturgici e degli operatori pastorali della liturgia, con la partecipazione dell’Arcivescovo. Aperto dall’introduzione di monsignor Fusto Gilardi, responsabile del Servizio diocesano, l’assise ha visto la relazione centrale affidata alla parigrado della Diocesi di Torino, Morena Baldacci.

Nel riferimento alla Proposta pastorale 2021-2022, Unita, libera, lieta. La grazia e la responsabilità di essere Chiesa, e alla Lettera pastorale per la Quaresima 1958 dell’allora arcivescovo Giovanni Battista Montini, L’educazione liturgica, monsignor Gilardi ha definito la domanda di partenza dell’assise: «Le nostre liturgie domenicali o quotidiane ci fanno compiere un’autentica esperienza di Dio?». Interrogativo che, senza il punto di domanda, proprio a sottolineare la risposta evidentemente affermativa, ha dato il titolo alla mattinata di studi, nella quale l’Arcivescovo, dedicando la sua riflessione a come si vive oggi la liturgia nelle assemblee, tra luci e ombre, ha evidenziato alcuni punti-chiave.

L’intervento dell’Arcivescovo

«Talvolta, invece che dimostrare gratitudine per una vita liturgica ordinata e frequente, per il molto che si fa, al fine di offrire la liturgia come luogo di grazia per tutti quelli che vogliono partecipare, ci si lamenta più per quello che manca – ha spiegato -. Quando coloro che contribuiscono alla celebrazione – non solo il sacerdote, il sacrestano, i responsabili dei vari servizi -, costituiscono un gruppo che lavora cordialmente, coralmente e senza protagonismi, si capisce subito che le cose vanno bene, perché questa collaborazione permette di armonizzare, pur nelle sottolineature specifiche, le celebrazioni». E questo specialmente nei casi in cui l’attenzione celebrativa è «particolarmente sfidante e si deve, quindi, mettere in campo una finezza altrettanto particolare», come nel caso di funerali di persone giovani: «Il gruppo liturgico deve essere, con l’aiuto di tutti, regista sapiente».

Poi, un terzo aspetto che il Vescovo definisce «l’inerzia che si sperimenta come un grigiore che appanna lo splendore e l’attrattiva della celebrazione». «L’inerzia si manifesta nel trascurare i preparativi, nella ripetizione, per esempio, dei canti, nella scarsa attenzione a distinguere i tempi dell’anno liturgico e la scansione stessa degli anni, nel credersi insostituibili». È chiaro che la pandemia abbia provocato una certa inerzia, ma ora occorre andare oltre, suggerisce, perché «tale pigrizia si manifesta anche nel partecipare alle iniziative formative proposte dalla Diocesi».

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Infine, come vivere «il prima e il dopo» delle celebrazioni. «La pandemia, con la cura delle norme di sicurezza, ha fatto emergere una forma di volontariato inedita e questo atteggiamento potrebbe evolvere in un nuovo modo dell’esercizio di accoglienza per rivelare, oltre l’emergenza, il volto accogliente della comunità. È un benvenuto che dà la persuasione di essere attesi».

Insomma, una via su cui continuare a camminare, come verrà indicato nell’incontro del 2 giugno a Rho (leggi qui), quando l’Arcivescovo ringrazierà chi ha testimoniato questa forma di volontariato in tempo di Covid: «Un servizio che aiuta a passare da un individualistico volontarismo nel vivere l’accoglienza, al senso di una comunità che si raduna intorno a un mistero che si celebra».

Come sciogliere, poi, l’assemblea? «Nel gesto del congedo bisogna rendere evidente che la missione continua. Augurarsi buona domenica o buona giornata è promettente, il sostare del pastore alle porte della chiesa può far bene, ma anche il gruppo liturgico deve immaginare forme per concludere la celebrazione», favorendo l’amicizia e la cordialità tra la gente.


Infine, richiamando la proposta di papa Francesco per creare ministeri istituiti come gli accoliti, i catechisti o il lettorato (questione che verrà discussa nella assemblea della Cei in calendario la prossima settimana e fornirà qualche linea di preparazione e percorso anche per la Chiesa italiana), l’Arcivescovo nota: «Mi sembra di tutta evidenza che si tratti di una responsabilità per coloro che assumono tali incarichi e che, per questo, devono essere formati. Ciò ci permette di ripensare tutto il sistema dei gruppi liturgici, perché normalmente si distingue tra il ruolo che richiede competenza, preparazione, responsabilità e costanza nello svolgere un compito che si configura quale servizio, e un incarico che può essere affidato temporaneamente. Questi due aspetti sono presenti in tutte le comunità, ma l’istituzione del ministero potrebbe dare una maggiore coerenza e competenza alla modalità del ruolo liturgico istituito».

Prima della discussione finale, a prendere la parola è Morena Baldacci che delinea l’urgenza «del prendersi cura, come gruppi liturgici, del noi ecclesiale», specie a fronte di una certa fatica nel viverlo oggi. Da qui la necessità «di suscitare la partecipazione attiva dell’assemblea, come ricorda la Costituzione del Vaticano II Sacrosanctum Concilium che, al paragrafo 26, sottolinea: «Le azioni liturgiche appartengono all’intero corpo della Chiesa».

 

 

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