A quarant’anni dalla morte di Paolo VI la prossima proclamazione da parte di papa Francesco concluderà un iter iniziato nel 1979 e che nel 2014 ha portato alla beatificazione colui che della santità fece la mèta di tutta la vita
di monsignor Ennio
APECITI
Responsabile Servizio diocesano Cause dei santi, Consultore della Congregazione delle Cause dei Santi
Dunque, finalmente Paolo VI è santo! Tale lo proclamerà Papa Francesco, a lui tanto devoto.
Si compie così il lungo cammino, iniziato nell’autunno 1979, quando fu presentata la prima domanda di proclamare Santo per la Chiesa il Papa del Concilio Vaticano II, perché si deve a Paolo VI la sua effettiva e profetica conclusione e a lui la tenace applicazione; il Papa della Populorum Progressio (26 marzo 1967), la prima enciclica dopo il Concilio, quasi a indicare il programma che la Chiesa avrebbe dovuto assumere: «Lo sviluppo dei popoli, in modo particolare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell’ignoranza; […] è oggetto di attenta osservazione della Chiesa. […] La Chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello».
Parole che richiamano quelle della Gaudium et Spes, che egli volle con forza fosse promulgata come ultimo documento conciliare, per dire al mondo che la Chiesa lo guardava piena di gioia e di speranza, pur in mezzo alle difficoltà di quel tempo e, forse, di ogni tempo della storia dell’uomo, guidata dalla tenace volontà di salvezza e di amore di Dio e insidiata inutilmente dalla sottile e insinuante tentazione dell’Avversario: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo».
Finalmente santo colui che della santità fece la mèta di tutta la sua vita, fin da quando, adolescente di diciassette anni, confidò all’amico Andrea Trebeschi la scelta del sacerdozio: un giorno – gli scrisse – «provai il vivo desiderio di salire in alto, libero da ogni impaccio, cantando per l’azzurro del cielo, assorto nella contemplazione dell’Unico Essere, beato, pienamente beato! Allora mi si presenta una lunga storia d’amore e di pianto: la Redenzione. Capisco che questa è la via, la verità, la vita».
Finalmente santo colui che, giovane prete, scriveva nei suoi Diari preghiere struggenti del desiderio di quella santità, che ora la Chiesa ufficialmente proclama: «Tu sei il Re dei Santi; mio Gesù, come esser capace di Te?».
Finalmente santo, Paolo VI, il cantore dell’amore della Chiesa, che aveva proclamato da Arcivescovo di Milano nel Messaggio per la Quaresima 1962: «La Chiesa compie nel Concilio un grande atto d’amore a Cristo. È la Sposa fedelissima che celebra la sua felicità». Lo ribadì ai Padri conciliari: il suo desiderio era di «dare al Concilio ecumenico il carattere d’ un atto d’amore; d’un grande e triplice atto di amore: verso Dio, verso la Chiesa, verso l’umanità». Ne fece il suo congedo, nel suo Testamento spirituale: «Sento che la Chiesa mi circonda: o santa Chiesa, una e cattolica ed apostolica, ricevi col mio benedicente saluto il mio supremo atto d’amore».
Forse è un segno della Provvidenza che la sua canonizzazione avvenga a quaranta anni esatti dal suo transito, come in modo poetico e profondo viene chiamata la morte dei santi.
In quell’anno 1978 Paolo VI giganteggiò come i grandi profeti biblici. Giganteggiò quando supplicò in ginocchio le Brigate Rosse di avere pietà dell’amico Aldo Moro, «uomo buono e onesto», rapito e poi ucciso con gli uomini della sua scorta.
Giganteggiò quando volle – quasi ormai incapace di camminare – presiedere la Liturgia di Suffragio e gridò al Dio che amava: «Chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte?».
Giganteggiò il 29 giugno 1978, citando Alessandro Manzoni per riassumere il suo servizio d’amore: «Ecco l’intento instancabile, vigile, assillante che ci ha mossi in questi quindici anni di pontificato. “Fidem servavi”! possiamo dire oggi, con la umile e ferma coscienza di non aver mai tradito “il santo vero”».
Avremo occasione doverosa di prepararci a questo evento, storico per la Chiesa tutta: mai tanti Papi santi in un secolo, almeno in epoca recente. E per la Chiesa ambrosiana non meno: è il primo Arcivescovo “santo” dopo San Carlo Borromeo: ambedue consumati da un appassionato amore, che deve provocare anche noi.10