Alla conclusione del Congresso eucaristico il Pontefice ha sottolineato: «Se scaviamo adesso un abisso con i fratelli, ci scaviamo la fossa per il dopo». «Per l’Italia più nascite, più figli», l’auspicio dell’Angelus
di Maria Michela
Nicolais
Agensir
È con un fuori programma che termina il viaggio del Papa a Matera, a conclusione del Congresso eucaristico nazionale. Subito dopo la Messa allo stadio, papa Francesco si è recato in auto presso la Mensa dei poveri “Casa della Fraternità” don Giovanni Mele, una delle opere-segno del Congresso eucaristico nazionale, che nella prima versione del programma ufficiale del viaggio apostolico, poi ridotto nei tempi, avrebbe dovuto inaugurare proprio oggi. E la benedizione è comunque avvenuta: il Papa è entrato nella mensa dei poveri in carrozzella, accompagnato dall’arcivescovo di Matera-Irsina, monsignor Antonio Giuseppe Caiazzo. Poi la breve visita in forma privata, al riparo dalle telecamere, alla mensa voluta dalla Fondazione Giuseppe Tamburrino e presieduta da Maria Teresa Di Muro.
La Messa
Bagno di folla, oltre 12 mila persone, nello stadio di Matera per la celebrazione eucaristica concelebrata dal Papa insieme a 80 vescovi e accompagnata dal suono del Coro e dell’Orchestra Sinfonica di Matera, diretta dal Maestro Carmine Antonio Catenazzo. 360 i volontari, a cui si sono uniti 200 uomini e donne della Protezione Civile.
«Adorare Dio e non se stessi»: è questa, per il Papa, «la sfida permanente che l’Eucaristia offre alla nostra vita: Mettere lui al centro e non la vanità del proprio io. Perché se adoriamo noi stessi, moriamo nell’asfissia del nostro piccolo io; se adoriamo le ricchezze di questo mondo, esse si impossessano di noi e ci rendono schiavi; se adoriamo il dio dell’apparenza e ci inebriamo nello spreco, prima o dopo la vita stessa ci chiederà il conto. Sempre la vita ci chiede il conto».
L’Angelus
Durante l’Angelus, anche un pensiero per il nostro Paese: «Io oserei oggi chiedere per l’Italia più nascite, più figli». Lazzaro coperto di piaghe e il ricco che banchetta lautamente: due modi di vivere in stridente contrasto ancora oggi. Il ricco, racconta Francesco a proposito della parabola, «pensa solo al proprio benessere, a soddisfare i suoi bisogni, a godersi la vita. Nella sua vita non c’è posto per Dio perché egli adora solo se stesso». Non a caso, di lui non si dice il nome. «Com’è triste anche oggi, quando confondiamo quello che siamo con quello che abbiamo, quando giudichiamo le persone dalla ricchezza che hanno, dai titoli che esibiscono, dai ruoli che ricoprono o dalla marca del vestito che indossano», il monito del Papa:
«È la religione dell’avere e dell’apparire, che spesso domina la scena di questo mondo, ma alla fine ci lascia a mani vuote, sempre». Perché «io non sono le cose che possiedo e i successi che riesco a ottenere; il valore della mia vita non dipende da quanto riesco a esibire né diminuisce quando vado incontro ai fallimenti e agli insuccessi. Io sono un figlio amato: chi adora Dio non diventa schiavo di nessuno».
Il richiamo dell’Eucarestia
Oltre al primato di Dio, l’Eucaristia ci chiama all’amore dei fratelli: «Il nostro futuro eterno dipende da questa vita presente: se scaviamo adesso un abisso con i fratelli, ci scaviamo la fossa per il dopo; se alziamo adesso dei muri contro i fratelli, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo. Le ingiustizie, le disparità, le risorse della terra distribuite in modo iniquo, i soprusi dei potenti nei confronti dei deboli, l’indifferenza verso il grido dei poveri, l’abisso che ogni giorno scaviamo generando emarginazione, non possono lasciarci indifferenti». L’Eucaristia, osserva Francesco, «è profezia di un mondo nuovo, è la presenza di Gesù che ci chiede di impegnarci perché accada un’effettiva conversione: dall’indifferenza alla compassione, dallo spreco alla condivisione, dall’egoismo all’amore, dall’individualismo alla fraternità».
«Sogniamo una Chiesa così: eucaristica – l’identikit di una Chiesa sinodale -. Fatta di donne e uomini che si spezzano come pane per tutti coloro che masticano la solitudine e la povertà, per coloro che sono affamati di tenerezza e di compassione, per coloro la cui vita si sta sbriciolando perché è venuto a mancare il lievito buono della speranza. Una Chiesa che si inginocchia davanti all’Eucaristia e adora con stupore il Signore presente nel pane; ma che sa anche piegarsi con compassione dinanzi alle ferite di chi soffre, sollevando i poveri, asciugando le lacrime di chi soffre, facendosi pane di speranza e di gioia per tutti. Perché non c’è un vero culto eucaristico senza compassione per i tanti Lazzaro che anche oggi ci camminano accanto».
«Ritorniamo a Gesù, ritorniamo all’Eucaristia – conclude il Papa da Matera, città del pane -. Torniamo al gusto del pane per essere Chiesa eucaristica, che mette Gesù al centro e si fa pane di tenerezza e di misericordia per tutti». «Pensiamo oggi sul serio sul ricco e su Lazzaro – aggiunge a braccio -. Succede ogni giorno e tante volte anche a noi. Vergogniamoci! Succede in noi, questa lotta, e fra noi, nella comunità».
Zuppi: no a individualismo e consumo
«La guerra brucia i campi di grano, toglie il pane e fa morire di fame, trasforma i fratelli in nemici». Lo ha detto il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, nelle parole di ringraziamento al termine della Messa.
«In un mondo così abbiamo trovato il gusto del pane che ci dona sempre l’Eucaristia, frutto dell’amore pieno di Cristo che diventa amore per i suoi fratelli più piccoli e per il prossimo – il bilancio delle giornate nella città dei Sassi -. Abbiamo ritrovato il gusto di spezzare il suo pane con i tanti, troppi, Lazzaro esclusi dalle mense dei ricchi, tabernacolo del corpo di Cristo». Per Zuppi, «il gusto del pane è amabilità, empatia, passione di ricostruire la comunità lacerata, di difendere la casa comune, gioia, voglia di relazioni con tutti. Quando si perde il gusto non si sentono i sapori, le cose si fanno senza voglia, impersonali, senza trovarvi quello che piace. Molti che hanno preso il Covid sono rimasti un tempo privati del gusto. Perdiamo il gusto del pane per colpa di un altro insidioso virus, l’individualismo, che ci illude di trovare il gusto solo moltiplicando le opportunità tanto da sprecarle e togliere il pane a tanti che hanno fame e di fame muoiono».
«Chi trasforma tutto nel consumo finisce per non sentire più il gusto della vita – la tesi del presidente della Cei -. Tornare al gusto del pane ha significato nutrirci dell’amore concreto e infinito di Cristo, ritrovare la gioia di amore semplice e gratuito, povero e vero, personale e per tutti. L’individualismo porta a dividersi dagli altri, tanto che il mondo arriva alla guerra che poi toglie valore all’individuo e genera solo il gusto della morte».
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