A cinquant’anni dalla morte di don Lorenzo il Santo Padre gli rende omaggio facendo visita alla sua tomba. Ecco la testimonianza di Agostino Burberi, allievo della scuola di Barbiana, che oggi vive a Legnano

di Silvio MENGOTTO

don milani
Don Lorenzo Milani con i ragazzi di Barbiana

Agostino Burberi aveva otto anni quando a Barbiana conobbe don Lorenzo Milani. Con altri sei bambini frequentò quella scuola e fu testimone di tutta la vicenda umana e pastorale del sacerdote. Oggi vive a Legnano, dove anima la Fondazione intitolata a don Lorenzo.

A cinquant’anni dalla morte di don Milani, il 20 giugno papa Francesco si reca a pregare sulla sua tomba (e su quella di don Primo Mazzolari, a pochi giorni dall’annuncio del processo di beatificazione). Barbiana e Bozzolo, allora Chiese di periferia, oggi “capitali” della Chiesa di Francesco. «Ho saputo che quando frequentava le Villas miseria, le periferie di Buenos Aires, Bergoglio già conosceva e indicava come esempio don Milani», rileva Burberi. «Mi piacerebbe che lo ricordassimo soprattutto come credente, innamorato della Chiesa anche se ferito, ed educatore appassionato con una visione della scuola che mi sembra risposta alla esigenza del cuore e dell’intelligenza dei nostri ragazzi e dei giovani»: parole del santo Padre, che a Burberi suonano come «una riabilitazione piena anche come prete – aggiunge Burberi -. Vorrei ricordare che uno dei primi atti di papa Francesco è stato quello di togliere il decreto del Sant’Uffizio su Esperienze pastorali. Per la visita a Barbiana ha voluto con sé 30 preti (15 dei tempi di don Milani e 15 ordinati nel 2016), proprio per indicare in don Lorenzo un modello di prete».

Per Burberi anche il suo metodo educativo è da prendere a modello: «Ricordo che nei Comuni vicini a Barbiana cominciavano a bocciare i ragazzi della prima media. Masse di ragazzi bocciati, che finivano per odiare la scuola e quindi erano da riconquistare. Allora i genitori li accompagnavano da don Milani perché la nostra scuola riusciva a far andare avanti anche gli ultimi». Nella scuola di Barbiana, infatti, si andava avanti solo se tutti avevano capito. Ricorda Burberi: «Noi ragazzi stavamo tutti insieme seduti attorno a un tavolo con un unico libro. Insieme si leggeva e si studiava. Si rimaneva con lui per 12 ore proprio perché era una scuola diversa. Mi piace dirlo: era una scuola ricca di vita». I verbi che don Lorenzo usava più spesso erano apprendere, conoscere, sapere, parlare con franchezza, aprirsi alla realtà. «Ma parlava anche del riscatto degli ultimi – precisa Burberi – e della padronanza della parola, anzi delle parole, visto che studiavamo diverse lingue straniere».

Dall’analisi e dalla riflessione di quel periodo nacque Lettere ad una professoressa, scritto insieme ai ragazzi, cruda denuncia della scuola che scartava e abbandonava i figli dei contadini di montagna, lasciandoli in balia dell’ignoranza: «Credo che sia di grande attualità ancora oggi. Gli ultimi di allora, i giovani contadini montanari del Mugello, oggi sono le migliaia di immigrati che fatichiamo ad accogliere. Ho ben presenti le difficoltà di convivenza a scuola tra i nostri figli e i tanti stranieri presenti…».

«Molte cose sostenute allora da don Lorenzo erano in forte anticipo sui tempi, sia nella Chiesa, sia nella società – conclude Burberi -. Era una persona serena, che aveva ben chiara la sua missione e che fu capace di sopportare tutte le angherie che la sua mamma Chiesa gli riservò proprio perché aveva una fede incrollabile».

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