Sabato 23 aprile nell'Aula Paolo VI, incontrando quasi 3 mila fedeli della comunità pastorale del Santuario della Madonna delle Lacrime a Treviglio, il Santo Padre ha ricordato che il conflitto sta distruggendo tutti, “il popolo vincitore” come “il popolo sconfitto” e anche “chi la guarda”
di Filippo
Magni
Arrivano a Roma su 4 treni speciali e con pullman e automobili i 2.800 trevigliesi iscritti all’udienza privata con Papa Francesco di sabato 23 aprile. I più mattinieri hanno preso il primo Frecciarossa speciale della giornata, partito dalla stazione centrale di Treviglio alle 4.30 del mattino. Alle ore 10 convergono tutti sul Vaticano, all’ingresso dell’aula Paolo VI per un’ordinata coda che prende posto all’interno della sala. L’attesa dell’arrivo del Pontefice è animata dalla musica e dalle parole dell’attore Carlo Pastori, dalla musica del Corpo musicale Città di Treviglio, dalle voci del coro della Pastorale giovanile cittadina.
Serpeggia una lieve preoccupazione a causa dei ben noti problemi al ginocchio di Francesco: il giorno precedente, venerdì 22, ha annullato tutti gli impegni in agenda per sottoporsi ad alcuni esami. E quando il Pontefice entra in aula Paolo VI, si scatena un fragoroso applauso che lo accompagna, claudicante, fino al centro della sala. Ma Papa Francesco non manca di fermarsi a dialogare brevemente con una nonna, con una famiglia, con altri trevigliesi che incontra lungo il percorso e che riescono ad attirare la sua attenzione.
Visibilmente emozionato, il parroco della Comunità pastorale Madonna delle Lacrime di Treviglio e Castel Rozzone, mons. Norberto Donghi, saluta Francesco a nome di tutti i presenti. L’udienza è stata concessa in occasione del cinquecentenario del Miracolo delle Lacrime, avvenuto a Treviglio il 28 febbraio 1522, quando un affresco di Maria con il Bambino pianse e convinse così il generale francese Lautrec a salvare la città dalla distruzione. Riferendosi a quell’episodio, Donghi rileva che “è un gesto fragile, quello delle lacrime. Ma tanto potente, da fermare persino la potenza di un esercito. Come non pensare che anche oggi, in tanti luoghi, perdura la guerra? Siamo qui anche per sostenere la sua preghiera, come sempre ci invita a fare. E per dirle che siamo con lei nell’invocare la Regina della pace”.
Dopo aver portato a Francesco il saluto dell’arcivescovo Mario Delpini, Donghi conclude: “La ringraziamo di cuore per averci accolti, donandoci il privilegio di questo incontro. Siamo desiderosi di ascoltarla. Siamo certi, la sua parola ci spronerà. La sua fede confermerà la nostra fede, la sua gioia di servire il Signore ci contagerà”.
Le lacrime di Maria, dice Francesco (qui il testo integrale del discorso), “sono anche segno del pianto di Dio per le vittime della guerra che sta distruggendo non solo l’Ucraina; siamo coraggiosi e diciamo la verità: sta distruggendo tutti i popoli coinvolti nella guerra”. Perché la guerra, aggiunge, “non solo distrugge il popolo sconfitto, no, distrugge anche il vincitore; distrugge anche coloro che la guardano con notizie superficiali per vedere chi è il vincitore, chi è lo sconfitto. La guerra distrugge tutti”.
Poi, riferendosi alle lacrime che pianse Maria, il Pontefice afferma che nei tempi attuali “abbiamo perso l’abitudine di piangere “bene”. Forse piangiamo quando succede qualcosa che ci tocca o quando tagliamo la cipolla. Ma il pianto che viene dal cuore, il pianto vero come quello di Pietro quando si pentì, come quello della Madonna… La nostra civiltà, i nostri tempi, hanno perso il senso del pianto”.
E noi allora, aggiunge, “dobbiamo chiedere la grazia di piangere davanti alle cose che vediamo, davanti all’uso che si fa dell’umanità, non solo le guerre – ne ho parlato – ma lo scarto, i vecchi scartati, i bambini scartati anche prima di nascere… Tanti drammi di scarto: quel povero che non ha da vivere è scartato; le piazze, le strade piene di persone senza fissa dimora…”. E l’appello: “Per favore, chiediamo la grazia di piangere. Tutti”.
La Comunità pastorale di Treviglio e Castel Rozzone è intitolata alla Madonna delle Lacrime. “È bello questo! – dice il Papa – In questo titolo c’è tutta una pastorale: una pastorale della tenerezza, della compassione, della vicinanza. Tenerezza, compassione e vicinanza. Questo è lo stile di Dio”.