Sessant'anni fa, il 21 giugno 1963, l'elezione al soglio pontificio di Giovanni Battista Montini. L'episcopato milanese, scuola di amore e di servizio, fu un'esperienza di cui fece tesoro nel suo Pontificato
di Giselda
ADORNATO
Storica e biografa di Giovanni Battista Montini
Padre Giuseppe Riboldi, domenicano di Santa Maria delle Grazie, in una lettera al cardinale Giovanni Battista Montini del 6 giugno 1963 (tre giorni dopo la morte di Giovanni XXIII), gli ricorda che il Conclave si apre il giorno 19, sotto il segno del santo milanese Gervasio…
Al di là della facile preveggenza – da ben più di dieci anni Montini è ritenuto “papabile” – sta di fatto che alla fumata bianca del 21 giugno molti giornalisti di tutto il mondo sottolineano diversi aspetti di quello che Alberto Cavallari, sul Corriere della sera, chiama il «facchinaggio» a Milano dell’arcivescovo Montini, per trarne indicazioni per il pontificato di Paolo VI. Vengono ricordati il proficuo rapporto con la vivacità della diocesi e della città del «time is money», allo scopo di risvegliare il senso religioso dei moderni; l’amore per la Chiesa ambrosiana; la ricerca dei lontani con la grande Missione di Milano; le nuove chiese; e fin la sensibilità politica, volta a unire le forze cattoliche.
Gli ultimi documenti
In effetti, è significativo che gli ultimi tre documenti episcopali che conosciamo siano un appunto del 15 giugno 1963, il giorno prima di partire per il Conclave, con un elenco dei cantieri aperti per le nuove chiese in tutta la Diocesi; una lettera a un prete in crisi; una disposizione per dare fondi a un Istituto dell’Università Cattolica: l’evangelizzazione, il sacerdozio, la cultura. Montini esprime spesso la sua gratitudine alla Diocesi ambrosiana, dove ha «imparato a fare il vescovo»: un’esperienza di Chiesa “di popolo” che Paolo VI richiamerà quale «campo sperimentale di tipica e positiva importanza pastorale» e sarà fondamentale per il suo ministero pontificale e la conduzione del Concilio e post-Concilio.
L’amore come guida
Giuseppe Lazzati, direttore del quotidiano cattolico L’Italia, nel suo editoriale del 22 giugno 1963, Fierezza e impegno, coglie in modo pertinente la radice di tutta la pastorale di Montini: «La sua mirabile paternità spirituale». Lo stesso Arcivescovo ritiene che «l’autorità nella Chiesa di Dio» debba esprimersi in «amore e servizio». E già il giovane Montini, commentando le Lettere di San Paolo, l’Apostolo di cui prenderà il nome, annota: «Il debito sempre aperto: amare gli altri. Questo ci rende irrequieti di santa e infaticabile alacrità». Entrando solennemente a Milano, il 6 gennaio 1955, così saluta il sindaco: «Il cuore di Milano è qui; e qui è il mio». E nel 1957 afferma: «In questo mondo feroce che non ama più e che si appesantisce ogni giorno nella sua civiltà di cemento e di assegni bancari, noi amiamo ancora la forza primigenia che viene dal cielo e nel nostro cuore arde il Dio-Amore: Deus charitas est».
E Paolo VI rimane sullo stesso registro, salutando i pellegrini ambrosiani otto giorni dopo la sua elezione: «Cari milanesi, io vi ho voluto bene». Il Papa elenca poi tanti «preziosi ricordi accompagnati da profonda tenerezza! Le parrocchie, che hanno accolto la mia visita pastorale; il Seminario, che mi ha aperto le porte, il cuore […]; l’Università Cattolica; il caro Capitolo, insieme al quale sovente abbiamo pregato […]; il Rito Ambrosiano […]. Orbene, tutto questo è dono insigne di Milano». Oggi, per il Pontefice, si allargano i confini dell’amore a tutto il mondo, ma egli chiede ai figli «primogeniti» e «amatissimi», particolari vicinanza, preghiere e amore, soprattutto nei momenti in cui si troverà « stanco e oppresso»… e sappiamo che essi non mancheranno nei quindici anni di pontificato.
Anche nel Pensiero alla morte Paolo VI ricorderà gli intensi otto anni milanesi, lodando Dio per aver avuto «l’immeritato onore d’essere ministro della santa Chiesa […] a Milano, come arcivescovo, sulla cattedra, per me troppo alta, e venerabilissima dei santi Ambrogio e Carlo […]».
La sorgente spirituale di tutta questa forte esperienza pastorale la suggerisce lo stesso Papa: «Forse la nostra vita non ha altra più chiara nota che la definisca dell’amore al nostro tempo, al nostro mondo, a quante anime abbiamo potuto avvicinare e avvicineremo: ma nella lealtà e nella convinzione che Cristo è necessario e vero».