Il direttore di “Aggiornamenti Sociali” legge le modifiche imposte dall’emergenza Coronavirus alla vita di fede come un’opportunità: «Si aprono nuove possibilità e nuovi stimoli, sia per i fedeli, sia per il clero»

di Annamaria BRACCINI

giacomo costa
Padre Giacomo Costa

Un periodo di doverosa e necessaria sospensione dei gesti di vicinanza, nelle consuete abitudini che esprimono amicizia, affetto o anche solo una stretta di mano di cortesia. Insomma, una separazione fisica che può tuttavia divenire un’inedita (e forse insperata) forma di prossimità spirituale e un desiderio di essere e fare comunità.

Padre Giacomo Costa, gesuita, direttore del mensile Aggiornamenti Sociali, già segretario Speciale del Sinodo sui Giovani, sintetizza così la condizione nella quale tutti, per l’emergenza virus, ci troviamo. Situazione che, parafrasando il titolo della Proposta pastorale dell’Arcivescovo, «davvero può farsi occasione».

Come leggere tutto questo nella prospettiva di celebrazioni magari trasmesse in tv o sui social, che – non avendo ovviamente valore sacramentale – sono tuttavia una fonte di conforto per moltissime persone?
Trovandoci in un passaggio molto delicato, abbiamo l’opportunità di non subirlo passivamente, ma di cercare di affrontarlo costruttivamente. Lo sconcerto improvviso può portare a perdere i nostri punti di riferimento. Il rischio che vedo è di abbandonarsi all’irrazionalità, mentre è proprio questa l’opportunità, la possibilità che si apre e che va assunta: trovare strade per vivere profondamente – a livello personale e comunitario – la fede.

Infatti sui media diocesani e parrocchiali si moltiplicano le proposte positive con dirette video e audio, sussidi, proposte…
Certo, ed è un segno rilevante. Ci sono tanti esempi per cercare di avere nelle proprie case, nei condomini, in palazzoni che ci sono sempre parsi senz’anima, delle Liturgie della Parola – aiutate magari dai parroci -, forme di Comunione spirituale, letture della Bibbia… In questo senso, non dare per scontate le cose aiuta, in maniera più profonda, a riprenderci la nostra umanità di fedeli in Cristo.

Avendo più tempo a disposizione, o nuove modalità di comunicazione, da cristiani possiamo chiederci di che cosa sentiamo la necessità?
Penso che sia importante, anzitutto, sentire che qualcosa manca. L’occasione, ripeto, non viene da sola: è leggendola con fede che diventa un’opportunità. Da soli i fatti non significano niente, è sempre alla luce della Parola di Dio e della nostra fede che prendono senso. In questa prospettiva, per esempio, vivere anche in famiglia una celebrazione o una preghiera è una bella opportunità. Ed è anche – vorrei sottolinearlo – un’occasione per chi celebra. Come preti siamo abituati alla gente che viene a Messa, ma parlare attraverso i mezzi della comunicazione è un’altra cosa. Chiediamoci come le nostre predicazioni e omelie possano guadagnarci in incisività, in modo da toccare le persone più profondamente. È una sfida: infatti è ovvio che una dimensione sacerdotale da vivere attraverso la comunicazione a distanza risulti meno coinvolgente e più facile alla distrazione dei fedeli. Per questo dobbiamo rendere ancora più incisivo il messaggio, perché la gente è ancora lì, anche se non è seduta davanti a noi.

La Messa domenicale, i sacramenti, l’oratorio si danno per scontati e, anzi, spesso esprimiamo critiche al riguardo. Ma adesso che non li abbiamo la richiesta è tanta…
È bello e spiega molto di quello che in fondo siamo, perché se manca qualcosa di importante, di fondamentale, corriamo a trovare rimedi: significa che senza tutto questo – e, dunque, senza il Signore – non possiamo vivere.

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