La realtà della Congregazione degli Oblati, articolata in quattro famiglie, nelle parole del rettore del Santuario della Madonna del Bosco, che il 6 settembre festeggia i 120 anni di presenza dei Padri vicari accogliendo l’Arcivescovo eletto monsignor Delpini
di Luisa
BOVE
La storia del Santuario della Madonna del Bosco (chiamato anche dei Miracoli o del Riccio) a Imbersago, in provincia di Lecco, affonda le sue radici nel lontano 9 maggio 1617, quando tre pastorelli raccolsero in primavera le castagne mature per sfamarsi: In seguito si ricorda la salvezza prodigiosa di un bambino in fasce di fronte alle fauci di un lupo. In entrambi i casi fu l’intervento della Madonna a evitare il peggio. Fin dal primo prodigio, quando la notizia si sparse nel territorio, iniziarono ad arrivare tantissimi pellegrini e alla fine fu costruita la Cappella del Miracolo. Quest’anno si festeggiano quindi i 400 anni dall’apparizione della Madonna e i 120 di presenza dei padri Oblati vicari (il primo fu padre Romano Beccalli, giunto nel 1897).
La Congregazione degli Oblati dei Santi Ambrogio e Carlo è composta da quattro famiglie. Lo spiega padre Giulio Binaghi, da quattro anni rettore del Santuario: «Gli Oblati, voluti da San Carlo Borromeo, nel susseguirsi del tempo si sono specificati in quattro famiglie: Oblati missionari di Rho, Oblati vicari (come noi), Oblati diocesani e fratelli Oblati diocesani, di cui io sono il superiore. I sacerdoti fanno voto di obbedienza all’Arcivescovo e in particolare gli Oblati vicari hanno la caratteristica di essere a sua disposizione per qualsiasi incarico, soprattutto nelle parrocchie, quando c’è qualche passaggio delicato da seguire. E poi siamo presenti nei Santuari. Eravamo in tanti luoghi della Diocesi ambrosiana, ma attualmente siamo solo alla Madonna del Bosco e a Santa Maria dei Miracoli presso San Celso in corso Italia a Milano, dove abbiamo anche la casa madre.
A Imbersago c’è quindi una comunità?
Sì. Facciamo vita comune per quanto possibile. Al momento siamo tre padri Oblati vicari e due sacerdoti diocesani che ci affiancano nel lavoro: vivono in appartamento, ma ci ritroviamo spesso. Il nostro ministero è l’apostolato tipico di un santuario: non si svolgono le attività come in parrocchia, per cui si accolgono i pellegrini (che sono numerosi, provenienti da Monza e Brianza, Milano, Bergamasca, Comasco, Canton Ticino, anche in gruppi organizzati), quindi si predica, si celebra e si confessa molto. Quest’anno stiamo celebrando il quarto centenario dell’Apparizione della Madonna del Bosco e siamo molto occupati nelle confessioni: in Santuario ci sono a disposizione almeno due sacerdoti (anche nei giorni feriali) e nel pomeriggio siamo presenti in cinque o sei. Si lavora tanto. Ripeto: si celebra l’Eucaristia, si celebra il sacramento della penitenza, si consola, si fa direzione spirituale… Arrivano persone di tutte le età, anche se i giovani non sono tanti, come è prevedibile.
La devozione a Maria è ancora molto cara nella popolazione?
In questo territorio la devozione mariana è tramandata di generazione in generazione, proprio come un patrimonio da custodire e da vivere. È davvero molto sentita e noi cerchiamo di farla vivere nel senso più giusto: «Andiamo dalla Madonna, che non ci trattiene presso di sé, ma ci indica di andare da Gesù, di ascoltare Lui, di fare quello che ci dirà».