Riflessioni e considerazioni su «Dare il meglio di sé», il documento «sulla prospettiva cristiana dello sport e della persona umana», pubblicato dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita l’1 giugno
di don Stefano
GUIDI
Direttore della Fondazione Oratori Milanesi
Lo sport è gioco. E il gioco è uno degli ambiti privilegiati di espressione dell’umanità. Nel gioco la persona si esprime con libertà, spontaneità, armonia e gioia, in una dinamica di coinvolgimento reciproco. Chi ha un minimo di esperienza di oratorio, o comunque di questioni educative, sa bene che il gioco non è mai solo un gioco. Il gioco è una cosa seria. È un primario laboratorio di vita. Per questo la Chiesa ha sempre assicurato spazio e attenzione alla dimensione del gioco. Perché è espressione elementare e primaria di umanità. E alla Chiesa interessa tutto ciò che è genuinamente umano.
Frequentare lo sport
Il documento «Dare il meglio di sé», pubblicato dal Dicastero vaticano per i Laici, la Famiglia e la Vita l’1 giugno, esprime in maniera esplicita una intenzione molto seria. La Chiesa non intende percorrere una via parallela alle normali esperienze umane. Il cristiano è presenza che abitando feconda. Non va confusa l’attesa del Regno con l’attivarsi per la realizzazione di realtà artificiali. Proprio per questo la Chiesa intende continuare a frequentare e abitare il mondo dello sport.
La Chiesa si mette in gioco e vuole continuare a giocarsi. Non sta in panchina, nemmeno in tribuna, non si inventa un ruolo da arbitro federale, ma vuole scendere in campo, vuole giocarsi fino al 90° minuto. La Chiesa vuole giocare tutta la partita. Siamo ormai consapevoli che l’unico modo per promuovere il Vangelo è la semina abbondante su ogni tipo di terreno, correndo perfino il rischio di una semina tanto esagerata quanto scriteriata che, per il timore di dimenticare qualcuno, includa sassi, rovi e corvi. Il Vangelo si promuove curando con ogni sforzo il fragile germoglio appena spuntato. Questo germoglio sta già spuntando nel cuore di ciascuno. Spunta in silenzio, senza attirare attenzione, in totale solitudine. Per questo la Chiesa non può assolutamente permettersi di separarsi, anche per un solo istante, da ogni persona e non può assolutamente permettersi di segnare distanze e confini che ci impediscano di comunicare a ciascuno amore sale e luce. Per tutto questo la Chiesa vuole giocarsi con determinazione. Riconoscendo che quando lo sport è umano, è in se stesso espressione e promozione del Vangelo.
Ospitare lo sport
Una Chiesa che vuole frequentare lo sport, vuole mettersi in gioco personalmente. È fondamentale che ogni cristiano senta l’ambito sportivo come luogo naturale di espressione della propria fede. È altrettanto importante che la Chiesa prosegua a investire nella formazione degli operatori dello sport, sforzandosi seriamente di rintracciare quegli elementi di naturale e profonda sintonia tra Vangelo e sport.
Così pure è necessario che la Chiesa continui a essere la casa naturale dello sport. Qui parliamo di quel rapporto storico che necessita di essere rivitalizzato, per cui molte parrocchie ospitano grandi o piccole realtà e strutture sportive. L’esistente – che ha valore per il fatto stesso di esserci – deve essere rinnovato nella visione e nella progettualità, prima che nella cura degli edifici. Ospitare lo sport significa giocarsi sul piano progettuale, inserendo la pratica sportiva nel progetto pastorale della Comunità, curando che vi sia dialogo e comunicazione tra operatori pastorali e operatori sportivi. Ospitare lo sport significa fare squadra con lo sport, nel proprio oratorio e nella propria parrocchia. Consapevoli che tutti stiamo giocando la partita dell’educare.
Armonia personale
Il documento sottolinea ampiamente l’efficacia educativa dello sport. Si richiama l’espressione autorevole di san Giovanni Paolo II, il quale descrive lo sport come «una forma di ginnastica del corpo e dello spirito» (discorso alla delegazione di dirigenti e giocatori dell’Ac Milan, 12 maggio 1979).
In un contesto sociale che esaspera la cura per il corpo nella sua dimensione unicamente estetica, l’esperienza sportiva ci aiuta a recuperare l’unità di tutte le dimensioni umane. Ogni pratica sportiva si basa certamente sulla potenza del corpo. Un corpo allenato, sano, curato. Ma i muscoli non bastano. Come non basta la tecnica e la tattica. Ci vuole passione. Ci vuole cuore. Ci vuole educazione della volontà. Ci si gioca veramente quando ci si mette l’anima. In questo senso lo sport è alleato dell’educazione e della vita. Sport, educazione e vita giocano nella stessa squadra.
Armonia sociale
Infine, lo sport è capace di creare coesione sociale. Qui ci piace sottolineare lo sport nella sua dimensione di pratica collettiva, come anche dell’adesione e del riconoscimento pubblico. La squadra e la tifoseria, l’atleta e i suoi tifosi, sono gli ingredienti di un’esperienza che diffonde benessere e armonia anche nella società.
Che il desiderio espresso nel documento «Dare il meglio di sé» possa essere accolto e condiviso da tutti, nei livelli grandi e piccoli del vissuto ecclesiale, e che molti si adoperino a tradurlo in realtà.