Sabato 3 febbraio nel palasport il rito di beatificazione del venerabile Teresio Olivelli. Oltre 3500 i presenti. Il rito presieduto dal prefetto della Congregazione per le cause dei santi. Ha concelebrato mons. Delpini
«Concediamo che il venerabile servo di Dio Teresio Olivelli, laico e martire, eroico testimone del Vangelo, difensore dei deboli e oppressi sino al dono della vita, d’ora in poi sia chiamato Beato». Questo il testo della lettera apostolica con la quale il card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, ha aperto sabato 3 febbraio nel palasport di Vigevano il rito di beatificazione del venerabile Olivelli, martire della Diocesi di Vigevano. Hanno concelebrato tra gli altri mons. Mario Delpini, arcivescovo di Milano; mons. Maurizio Gervasoni, vescovo di Vigevano; mons. Santo Marcianò, ordinario militare, mons. Ludwig Schick, arcivescovo di Bamberga. Presenti circa 3.500 persone, giunte dal territorio della diocesi, da quelle lombarde e da tutta Italia, dell’Azione cattolica e della Fuci, degli Alpini, delle associazioni partigiane, dell’università e dei collegi pavesi, tutte realtà che segnarono la vita di Olivelli, oltre che dalla diocesi bavarese di Bamberga, sul cui territorio sorgeva il lager di Hesbruck in cui Olivelli perse la vita.
Mons. Gervasoni ha chiesto il riconoscimento del titolo di Beato, ricordando che il suo fu «un ministero di consolazione, fatto di gesti di solidarietà» e che durante la prigionia «difende i più colpiti, accompagna i moribondi, prega sui cadaveri», motivo per cui «i nazisti lo colpiscono di continuo in odio alla sua testimonianza cristiana». A seguito della lettura della lettera apostolica è stata svelata l’immagine del beato, sotto la quale è stata collocata una reliquia appartenuta a lui.
«Di fronte alla prospettiva di morte del lager, il nostro beato non si abbatté, anzi reagì energicamente, aiutando i più deboli a non avvilirsi, ma a resistere con coraggio». Così il card. Amato ha delineato la figura di Olivelli durante l’omelia per la beatificazione.
Combatté ogni prevaricazione «non con armi letali, ma con quella energia benefica e divinamente invincibile, che è la carità che, come dice l’apostolo Paolo, è paziente, benigna, non manca di rispetto non si adira, non tiene conto del male ricevuto, tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta». Un esempio a tal punto che «a lui facevano riferimento coloro che si trovavano in difficoltà, per essere compresi, protetti e difesi dai soprusi». Olivelli si spinse fino al dono della vita, la “morte di un giusto vincitore sui suoi carnefici ridotti a maschere tragiche di crudeltà” è una testimonianza valida anche nel presente.
«Ancora oggi – ammonisce il card. Amato – nel mondo ci sono 215 milioni di cristiani che soffrono persecuzione e morte. Il beato Olivelli ricorda che “la violenza può uccidere una persona, ma non può uccidere una causa. Il carnefice ha ucciso Teresio, ma non il Vangelo, difeso e testimoniato ancora oggi, come ieri e come sarà domani, da fedeli coraggiosi e forti fino al martirio».