In Duomo, l’Arcivescovo ha presieduto la Veglia missionaria diocesana nella quale ha consegnato il mandato ai partenti, quattro sacerdoti, una famiglia, una missionaria laica e una suora. Sette, invece, coloro che sono stati accolti, per motivi di studio e incarichi pastorali, nella Chiesa ambrosiana
di Annamaria
BRACCINI
«In una società malata, in un clima deprimente, tra tante incertezze e paure per il futuro», come si può «alzare la testa, prendere iniziative, riconoscere che la terra è piena della gloria di Dio»?
Si può e si deve, ma come farlo? Annunciando «promesse di salvezza e parole di verità», perché «tutta la terra, anche le terre lontane e sconosciute, tutte le vite, anche la mia vita, tutta la storia, anche la storia di questo popolo dalle labbra impure, tutte le situazioni, anche la desolazione presente, è piena della gloria di Dio».
È un messaggio di speranza e fiducia, quello che l’Arcivescovo consegna, nella Veglia missionaria diocesana da lui presieduta in Duomo, all’intera Diocesi e, in prima persona, a coloro che sono in partenza per la terra di missione e a quanti vengono accolti, dai 4 angoli del mondo, in terra ambrosiana. Momento atteso, che non può che risentire anch’esso della pandemia, iniziando in anticipo per poter rispettare le norme di sicurezza, con qualche assenza (un partente e 2 accolti non possono essere presenti), ma con qualcosa che nessun virus può sconfiggere, quell’“Eccomi, manda me” che dà il titolo alla Veglia e che è la sintesi dello slancio missionario di sempre..
Dopo il suggestivo video iniziale in cui risuonano le parole indimenticabili di papa Francesco solo sul sagrato di San Pietro sferzato da vento e pioggia – «Su questa barca siamo tutti come quei discepoli che dicono siamo perduti, ma anche noi capiamo che non possiamo andare avanti ognuno per conto suo, ma solo insieme» -, i canti, la preghiera, le testimonianze, parlano appunto con la voce sola di una risposta convinta alla chiamata del Signore.
Accanto all’Arcivescovo siedono il vescovo di Monze in Zambia, Moses Hamungole e monsignor Angelo Pagano, vicario apostolico di Harar, in Etiopia; in altare maggiore trovano posto il Vicario generale, alcuni Vicari episcopali di Settore – monsignor Luca Bressan per la Missione – e di Zona, tra cui il vescovo ausiliare monsignor Giuseppe Vegezzi, delegato della Conferenza Episcopale Lombarda per la Evangelizzazione e la Cooperazione tra i i popoli. Con il responsabile dell’Ufficio per la Pastorale missionaria, don Maurizio Zago, è presente padre Piero Masolo del Pime che collaborerà con l’Ufficio succedendo al saveriano padre Sante Gatto.
I ragazzi, legati a diverse realtà missionarie e che avrebbero dovuto partecipare all’incontro (annullato) di preparazione alla Veglia presso il Pime, vestono le loro magliette arancioni e animano il primo momento della Celebrazione, con la richiesta di perdono e purificazione, simboleggiato da un braciere ardente. Poi, l’ascolto della Parola con la Lettura del brano della vocazione di Isaia al capitolo 6 del suo Libro profetico.
L’omelia dell’Arcivescovo
Un’Isaia, da cui prende avvio la riflessione del vescovo Mario, che è molto simile a tanti di noi oggi, tra paure, insicurezze, ambizioni e aspettative. «Sono io, Isaia, un impasto di slanci e di vigliaccherie, di impegno e di pigrizia, di desideri grandiosi e di peccati meschini. Di fronte al Signore mi sento perduto, perché sono solo Isaia. Non sono un genio, non sono un eroe, non sono un santo».
Eppure, toccato dal fuoco della gloria di Dio anche Isaia – e chiunque di noi – può essere, a sua volta, fuoco e annunciare proprio quella gloria che rende liberi. «Posso guardarmi e non vergognarmi di me stesso. Posso considerare la mia vita e riconoscervi, insieme con i limiti, anche i talenti, insieme con la fragilità anche la fortezza, libero dai vincoli del peccato, dai complessi di colpa, dalle frustrazioni dei miei fallimenti. Sono libero e, perciò, posso farmi avanti e dire: eccomi. Non per l’entusiasmo di un momento, non per la commozione di una esperienza esaltante, non perché convinto da qualche promessa di successo o di gratificazione, non perché costretto da qualche condizionamento o pressione esterna, ma perché c’è un messaggio da portare e dentro di me c’è la persuasione che valga la pena di farsene messaggeri». Anche se la profezia può rivelarsi impopolare, infatti, «c’è un discorso da fare a questo popolo che si sente smarrito, che si disperde nelle illusioni, che si vende schiavo di rassicurazioni illusorie».
«Eccomi: adesso, non domani. Eccomi, in questo momento, non quando ci saranno momenti migliori. Eccomi in mezzo a questo popolo dalle labbra impure, non tra gente più adatta o più disponibile o simpatica. Eccomi: il Signore ha fiducia in me, mi ritiene adatto alla missione».
Espressioni, queste, a cui fanno eco le due testimonianza di partenti.
«Vado a nome della Diocesi di Milano in una Chiesa sorella, da una Chiesa grande e millenaria a una piccola e giovane. Ritengo che scoprire un popolo e una tradizione diversa dalla mia, possa allargare il mio orizzonte, farmi scoprire ricchezze ignote, aiutarmi ad amare ancora di più ogni uomo e donna che incontro. Mi aspetto di sperimentare in modo nuovo la fantasia dello Spirito», spiega don Alberto Galimberti, 52 anni destinato alla Diocesi di Sapa nel nord dell’Albania e da 7 anni parroco, a Rho, di “San Giovanni Battista”.
E, ancora, Giulia e Corrado Motta, di “Operazione Mato Grosso”, entrambi 31enni che, con i figli Giosuè, Benedetta e Adele Maria (tutti e tre in Duomo con i due più grandicelli che sgambettano verso l’altare), torneranno in Brasile a gennaio per altri 2 anni dopo essere già stati in Mato Grosso per 1 anno e mezzo. «Abbiamo capito che vogliamo dire ancora sì, vivendo la nostra famiglia a disposizione degli altri, aperti e pronti ad accogliere. Vogliamo ringraziare il Signore per tutto quello che abbiamo ricevuto, e lo facciamo donandoci. La famiglia è un valore inestimabile: in una società che distrugge l’infanzia dei bambini come, talvolta, accade laggiù abbiamo cercato di portare una testimonianza semplice».
Infine, il IV momento della Veglia, quello del mandato missionario, con la consegna dei crocifissi ai partenti: don Alberto Galimberti, don Gregorio Josè Simonelli, vicario parrocchiale dei Santi Nazaro e Celso di Verano Brianza destinato al Perù, e don Alessandro Maggioni, vicario parrocchiale a Inzago, che si recherà in Camerun. Cui si aggiungono il comboniano padre Maurizio Balducci che andrà in Uganda, la famiglia Motta, una missionaria laica dell’Associazione Laici Pime, Silvia Derna, in partenza per il Camerun, e una suora della congregazione delle Dorotee di Cemmo, Pierelia Bonetti, che svolgerà il proprio servizio nella Repubblica Democratica del Congo.
Agli accolti – 6 sacerdoti provenienti da Brasile, Benin, Congo, Nicaragua, Cameroun, India e una suora del Myanmar – viene invece consegnata la Proposta pastorale dell’Arcivescovo per questo anno.
A conclusione è don Zago a ricordare il gesto dell’offerta, frutto del digiuno serale e a chiedere ai presenti di farsi vicini con la preghiera scrivendo ciascuno al missionario o missionaria il cui nome è scritto nel sussidio liturgico consegnato a tutti. Un invito ripreso e sottolineato dall’Arcivescovo nel suo saluto finale.