Per Chiara Zambon, responsabile del Gruppo teologico dell’Ac e membro di un Gruppo Barnaba, è questo il contributo di creatività richiesto al cammino sinodale: «Per un buon discernimento comunitario occorre franchezza»
di Annamaria
Braccini
Cosa significano per i cristiani impegnati nelle realtà ecclesiali e parrocchiali il cammino sinodale e il concetto stesso di Sinodo? Come interpretare i percorsi intrapresi in questo senso? Chiara Zambon, giovane mamma di due bimbe, membro del Gruppo Barnaba di Gallarate e responsabile del Gruppo teologico dell’Azione Cattolica ambrosiana unitamente a Valentina Soncini (inseme hanno curato il volume Dal basso, insieme, In Dialogo), riflette: «A mio parere ci è chiesta una rinnovata vivacità, una dinamicità nel pensare e nel ripensare la Chiesa di cui vogliamo essere parte, proprio perché papa Francesco dice che la sinodalità è il volto di Chiesa del Terzo millennio e un modo per amare più profondamente la Chiesa».
Come vivere tale rinnovata creatività?
Esprimendosi ed esercitandosi nella responsabilità dell’ascoltare di più, ma anche del farsi ascoltare. Lo Spirito soffia forte nei nostri territori, dove esistono già molti semi di bene da valorizzare, ma nei quali ci sono anche parole e linguaggi, tipicamente laicali, che possiamo offrire alla nostra Chiesa e alle nostre comunità per camminare meglio insieme. Per esempio, da laici e come Azione Cattolica, possiamo sottolineare tutta la bellezza, la potenzialità, la fecondità del discernimento comunitario, del decidere e del lavorare insieme, che tanti di noi già sperimentano in famiglia, nel lavoro, nelle associazioni.
Nel volume Dal basso, insieme si suggeriscono 10 passi per una Chiesa sinodale. Qual è quello più urgente a cui porre mano?
La sinodalità non è semplicemente un tema su cui confrontarsi, ma una prassi, un camminare, qualcosa da far accadere. Ci sono dei passi che vanno in profondità, riscoprendo la Chiesa popolo di Dio, la Chiesa-comunione, la fraternità, le radici teologiche del volto di Chiesa che anche il Concilio Vaticano II ci ha consegnato, e dei passi che sorreggono un esercizio, una prassi sinodale. Infatti, il discernimento comunitario, la franchezza, l’ascolto, appunto, la partecipazione sono alcuni degli steps che abbiamo citato nel nostro testo. Il rischio è che la sinodalità diventi uno slogan e, quindi, il tratto che vedo più urgente può essere la franchezza come una risorsa per fare un buon discernimento insieme, perché la fraternità diventi più profonda. È un esercizio di dialogo adulto tra tutti i membri della comunità, un confronto appassionato che sa appianare i conflitti e che non rinuncia per quieto vivere. Io penso che la franchezza sia anche un antidoto a quel chiacchiericcio, come dice il Papa, che spesso abita le nostre parrocchie.
Nella prefazione al saggio, l’Arcivescovo suggerisce uno stile che, prima di eventi o di un’organizzazione, deve animare il cammino sinodale…
Esatto. Non è qualcosa in più da fare, un’incombenza per le nostre comunità, al contrario è un’occasione per respirare con maggiore ampiezza e profondità, perché in una Chiesa sinodale le responsabilità sono più condivise, lo stile delle relazioni è più fraterno e più comunionale, quindi sicuramente contribuisce a essere più «uniti, liberi e lieti», per usare le parole dell’Arcivescovo, aiutando a una stima reciproca, convertendo abitudini e comportamenti.
Cosa si aspetta come membro di un Gruppo Barnaba?
Un passo più spedito nella direzione della missionarietà, dell’ascolto di tutti, dell’abbattimento, almeno in parte, delle categorie interno-esterno alla Chiesa.