L’Arcivescovo ha visitato due oratori estivi, in altrettante periferie ai poli opposti della città, ma entrambi caratterizzati dalla multietnicità. «Dio conduce tutti a essere fratelli, per questo possiamo incontrarci e dialogare, rispettandoci»
di Annamaria
Braccini
130 ragazzi di 15 etnie diverse, una ventina di animatori, un oratorio arioso e ben curato alle spalle di un quartiere difficilissimo, come il quadrilatero delle case popolari di piazza Selinunte con i suoi 11.000 abitanti, anche se qualcuno dice arrivino ai 14.000.
In un solo pomeriggio, l’Arcivescovo visita gli oratori feriali di due parrocchie di periferia, l’uno in Zona Corvetto, decanato Vigentino, parrocchia di San Michele e Santa Rita. e l’altro nel Decanato San Siro, zona omonima, parrocchia Beata Vergine Addolorata. In entrambe le realtà, ai poli opposti della città, il vescovo Mario dialoga con i ragazzi, prega con loro, indica il modo bello per diventare grandi, volere e volersi bene, fare il bene.
Discorsi che ragazzini e ragazzini, con i loro fratelli e sorelle appena più grandi – gli animatori -, ascoltano in silenzio, semplicemente seduti a terra come accade nel campo di basket dell’oratorio della B.V. Addolorata.
Dopo aver accolto festanti l’Arcivescovo, con i sacerdoti, il parroco e Decano, don Giovanni Castiglioni e il vicario parrocchiale, don Fabio Carcano, con le religiose e i laici impegnati nell’oratorio, i genitori, sono due adolescenti a porre le loro domande, introdotte da Laura, un’educatrice, che spiega. «I nostri bambini sono multicolori – quest’anno la maggioranza proviene dal Marocco, l’anno scorso, dall’Egitto -, qui trovano una casa in cui si sentono accolti e riconosciuti, capiscono cosa voglia dire giocare insieme, anche litigare, ma soprattutto fare pace. A volte, nelle nostre strade, domina la bruttezza, ma in oratorio sanno che trovano un posto di gioia».
Concetti che vengono ribaditi, con il linguaggio semplice e diretto dell’infanzia, da Gresald originario dell’Albania e Shantal, peruviana. «Alcuni di noi sono spaventati, non c’è rispetto per le altre persone. Le nostre case andrebbero sistemate, le strade puzzano, ma l’oratorio ci aiuta a non andare su strade sbagliate». Con un “tu” diretto, arriva la domanda al Vescovo se alla loro età, aveva già la fede e su come dialogare tra le diverse religioni. Molto più di semplici e infantili curiosità, se si pensa a che tipo di ambiente – talvolta conflittuale proprio nel nome di Dio -, circondi la crescita di questi futuri cittadini adulti.
«Penso – osserva l’Arcivescovo – che questa terra sia un luogo per camminare verso il cielo e la gioia. Ho avuto sempre la certezza che Dio c’è e ci ama. La fede è una docilità, è lasciarsi condurre da Dio. E quindi io dico: si può incontrarsi, crescere insieme, rispettarsi, perché Dio – di questo sono convinto -, conduce tutti a essere fratelli e sorelle. Quindi, la fede è questa docilità al Signore che ci porta all’incontro, diventando, poi, anche occasione per confrontarsi. Allora, possiamo chiederci, “Come affronta il tuo Dio questo problema? Come risolve i problemi della vita, della morte, dell’amore, dell’odio?”. Dio convince tutti a fare del bene, quindi, anche se magari non riusciamo a capire proprio tutte le differenze e tutte le diverse tradizioni religiose, forse tutti possiamo capire che dare gioia agli altri ci fa contenti. Fino da ragazzi si può comprendere che dare gioia agli altri fa crescere la nostra gioia. Dunque, insieme possiamo fare qualcosa per dare gioia agli altri, come fanno gli animatori per i ragazzi, i preti e le suore degli oratori, come fanno gli adulti per i più giovani. Questo essere insieme a far del bene ci rende fratelli e sorelle e, forse, un giorno ci renderà anche capaci di capire meglio chi è Dio e come si fa a essere felici con Lui».
Don Fabio richiama il doloroso momento in cui la gente del quartiere,frastornata da tanto male, ha dovuto confrontarsi con la morte di un bimbo di due anni e mezzo ucciso dal padre nelle vicine case popolari. «Abbiamo pregato, ci siamo radunati davanti alla casa del bimbo, ci siamo interrogati», sottolinea, chiedendo una parola del Pastore di tutti anche su questo.
«Credo che questa cosa tragica, drammatica e dolorosa non deve diventare un’etichetta per il quartiere, dove ci sono anche gli oratori, dove succede anche che tanta gente prega, che tante persone aiutano gli anziani e stanno vicino ai poveri. Pensiamo a quanti papà e mamme curano i loro bambini, li consolano quando piangono. Quindi, bisogna evitare che le cose brutte che succedono diventino le uniche visibili, anche perché i giornali, la televisione, tutti i social, non parlano mai di questo quartiere, se non quando succede un fatto terribile. Dobbiamo reagire a questo, perché altrimenti cominciamo a pensare male di noi, dell’umanità, dell’ambiente che ci circonda, delle persone che vi abitano. Invece, se vi guardo, mi sembrate tutti bravi ragazzi. Perciò, non dite: “In questo quartiere sono tutti dei ladri, degli assassini”. Non facciamoci prendere dalla paura».
Si prosegue con le domande su come l’Arcivescovo ha scelto di essere prete – «è una cosa che ho voluto, dopo aver visto esempi di gente che faceva del bene come il parroco e chi stava in oratorio . Mi hanno detto che bisognava entrare in Seminario. L’ho fatto e a 24 sono diventato prete»; su quando è diventato vescovo e su come era da piccolo; se ha mai fatto del male. «Non credo di aver mai fatto niente di male, volendolo di proposito. Certo, mi arrampicavo sugli alberi e, magari, rubavo le ciliege, ma al mio paese ce n’erano tante…». Ancora, l’Arcivescovo pregava e prega «Sì, mi piace. Da ragazzo lo facevamo in famiglia, anche in casa, era bello, ci faceva sentire uniti».
Poi la preghiera recitata insieme con parole condivisibili anche dai giovani musulmani e alcune frasi dell’invocazione che si pronuncia facendo il pellegrinaggio alla Mecca.
Infine, la consegna dell’immaginetta con la riproduzione, dall’Evangeliario ambrosiano, della bella opera di Nicola De Maria, con quell’azzurro del cielo che illumina anche i monti della terra, perché «la terra è piena della gloria di Dio, come recita il mio motto. Gloria che non è la bacchetta magica, ma è l’amore che rende capaci di amare. È lo Spirito santo. Non c’è nessun posto sulla terra nel quale manchi l’amore di Dio. Non lamentiamoci perché, sennò, sembra quasi che la gloria di Dio non riempia la terra». Sul retro dell’immaginetta c’è la preghiera composta dall’Arcivescovo stesso che raccomanda: «Usatela per pregare in casa vostra, usatela stasera e ogni giovedì».
I palloncini colorati che salgono al cielo, dopo la foto di gruppo, sono il segno di un “multicolore” della pelle e dei cuori capace di andare oltre le tante barriere e steccati del mondo.