Il Pontificale di San Carlo è stato presieduto, in Duomo, da monsignor Giuseppe Merisi, festeggiato nel XXV anniversario esatto della sua Ordinazione episcopale
di Annamaria
Braccini
È un Pontificale di San Carlo diverso, questo del 2020, a 410 anni esatti dalla Canonizzazione del copatrono della Diocesi di Milano. In Cattedrale, non c’è l’Arcivescovo, ancora in quarantena, non si può scendere nello “Scurolo” per pregare davanti alla tomba del Borromeo, la gente è distanziata e con le mascherine. Ma l’affetto e la devozione per il Santo vescovo, rifondatore della Chiesa ambrosiana, sono quelli di sempre e risuonano nelle parole di monsignor Giuseppe Merisi, vescovo emerito di Lodi e già ausiliare di Milano che presiede la Celebrazione, con un particolare vigore.
Il saluto di benvenuto viene porto dal vicario generale, monsignor Franco Agnesi, che concelebra, unitamente ad altri 6 Ausiliari della Diocesi, l’Eucaristia alla quale partecipano una trentina di presbiteri. Non mancano, come tradizione, i seminaristi e alcuni rappresentanti di Ordini Cavallereschi e Confraternite.
«A nome dell’Arcivescovo accogliamo il vescovo Merisi che proprio nella data di oggi ricorda il suo XXV di Ordinazione episcopale» (avvenuta in Duomo il 4 novembre 1995, per la preghiera e l’imposizione delle mani dell’allora arcivescovo di Milano, il cardinale Carlo Maria Martini), dice monsignor Agnesi. «È stato collaboratore apprezzato dei Vescovi di Milano, presenza incisiva e costruttiva nella Conferenza Episcopale Lombarda e Italiana, in organismi europei e anche in associazioni e articolazioni laicali. Grazie don Giuseppe della tua presenza e del servizio che hai svolto anche nei confronti di tanti di noi che sono qui».
Viene data anche lettura del messaggio inviato dal Santo Padre per il Giubileo episcopale d’argento di monsignor Merisi, nel quale si ricordano «lo zelo pastorale e il diligente impegno nei compiti assunti presso la Cei e la sollecitudine nell’annuncio della fede, predicandone i precetti e illustrandone i tesori, sempre attento alla formazione del Clero e al popolo di Dio con squisita umanità».
In apertura della sua omelia, il vescovo Merisi – che indossa l’anello di san Carlo e porta tra le mani il Pastorale carolino – augura pronta guarigione al vescovo Mario e parla di comunione con lui nel celebrare l’Eucaristia.
Il pensiero va subito all’oggi. «Celebriamo questa Messa in un momento difficile per la vita delle nostre comunità e di tutta la società civile, in cui tutti soffriamo per la pandemia che non dà tregua, nella quale risuonano le parole ammonitrici di papa Francesco che ci invitava e ci invita a vivere questo tempo difficile con coraggio e prudenza e con il rispetto delle regole. Gli inviti alla solidarietà e all’impegno di fraternità, di amicizia sociale e di pace contenuti nell’Enciclica “Fratelli tutti” – e negli altri interventi recenti, ad esempio, sul tema dell’ecologia integrale e dell’educazione – hanno confermato e riproposto l’appello che siamo invitati ad accogliere e a testimoniare nella nostra vita quotidiana secondo le condizioni richieste dalla nostra vocazione e dalle nostre responsabilità».
Tre gli spunti di riflessione offerti a tutti i presenti «per approfondirli nella preghiera personale, familiare e comunitaria».
In primis, la testimonianza di san Carlo «con la sua coerenza nella scelta di fede che, a partire dalle origini familiari e culturali, lo ha portato al dono di sé completo e irrevocabile con la carità pastorale, per usare un’espressione dei nostri tempi».
«Nell’espletamento delle sue responsabilità pastorali, san Carlo vive e opera con le difficoltà e i drammi della società del suo tempo – con le pandemie e le pesti di allora -, con i forti contrasti dentro e fuori la Chiesa affrontati con coraggio; con la preghiera intensa e l’impegno, la penitenza, la visita frequente alle comunità e agli ammalati, la riforma della Chiesa, la formazione accurata di preti, religiosi e laici».
E, seppure ogni epoca è diversa dalle altre e ogni momento storico ha le sue caratteristiche non paragonabili, «questa fede, la dedizione eroica, la speranza di san Carlo sono testimonianze che non possiamo né dobbiamo dimenticare e che possono orientare la nostra vita. Anche in un mondo che è cambiato e in cui sappiamo che la situazione può diventare occasione, anzi, come dice l’arcivescovo Mario, è occasione».
Insomma, anche oggi occorre gente capace di superare le difficoltà e di mettersi a servizio, soprattutto di fronte alle difficoltà generate dall’odio – vengono citati gli attentati terroristici di Nizza e Vienna, gli ultimi perpetrati -, ma anche di fronte all’indifferenza come male che pervade il nostro tempo. Qui il riferimento è allo splendido discorso di Liliana Segre dello scorso 27 gennaio.
Il secondo suggerimento è rivolto a chi ha responsabilità nella guida della comunità. «Penso alle parrocchie, alle Diocesi, ai Seminari, alle aggregazioni laicali, ai soggetti pastorali in tutti i campi dell’evangelizzazione: gli oratori, la scuola, la carità (Merisi è stato anche presidente di Caritas Italiana), la sanità, l’assistenza, le missioni e la cultura».
«La formazione e preparazione di preti, religiosi e laici, oggi come allora, sono necessarie per una guida autorevole e autentica della comunità».
Questione che fu sempre molto cara al Borromeo, come emerge anche da un’omelia, datata 1619, del cugino Federico, anche’egli divenuto arcivescovo di Milano.
Il terzo pensiero è la gratitudine che monsignor Merisi esprime al Signore, a persone e realtà. «Dalla mia famiglia, alla parrocchia di Treviglio (sua città di nascita) con l’oratorio e l’Azione Cattolica; dal Seminario alla Diocesi di Milano e a quella di Lodi che mi ha accolto, ascoltato, accompagnato». E, ancora, gratitudine agli Arcivescovi e ai Papi dell’82enne Merisi, da Pio XI a papa Francesco. Tutto ciò che si sintetizza nel suo motto episcopale: “Vos autem amicos dixi” dal vangelo di Giovanni. «Rincominciando ogni giorno, per convertirsi, per capire, per aiutare, per piangere con chi piange, camminando nel perdono».