L’Arcivescovo, nel contesto della Visita pastorale al decanato “Navigli”, ha presieduto una Liturgia della Parola nella parrocchia dei Santi Giacomo e Giovanni dove ha sede anche la missione San Josaphat della Chiesa ucraina di Rito bizantino
di Annamaria
BRACCINI
«Siamo chiamati a condividere sentimenti, anche con il gesto minimo che può stabilire relazioni, farci sentire fratelli e sorelle. Così, essendo il popolo della compassione e della speranza, si può riscrivere la storia. Il Signore incoraggia il nostro cammino e noi, umilmente ma con fierezza e tenacia, percorriamo questo tempo».
Le parole – quasi un appello – che l’Arcivescovo scandisce nella parrocchia dei Santi Giacomo e Giovanni davanti a tanta gente, a fedeli italiani e ucraini, assumono un significato del tutto particolare, proprio perché nella chiesa ha sede da qualche tempo anche la missione San Josaphat della Chiesa ucraina di Rito bizantino. Presenti il vicario episcopale della Zona pastorale I-Milano, monsignor Carlo Azzimonti il responsabile della missione, padre Igor Krupa il decano e parroco, don Walter Cazzaniga, e altri sacerdoti, il momento di preghiera, vissuto con una liturgia della Parola, è intenso e partecipatissimo nei canti, nelle invocazioni, nei gesti simbolici. Come quelli, compiuti dal vescovo Mario, che aprono il rito: il bacio del crocifisso, l’accensione della fiammella di una lampada portata sull’altare e la benedizione dell’assemblea. Riunita nel contesto della visita pastorale al decanato “Navigli”, per cui don Cazzaniga, in apertura, dice: «Vogliamo dire al nostro Arcivescovo che oggi è una benedizione del Signore perché viene nel nome di Gesù».
In riferimento al Vangelo di Giovanni, nella domenica detta “Di Lazzaro”, l’omelia si avvia proprio dal significato che riveste la Visita, sottolineato dal Vescovo che ringrazia dell’accoglienza.
«Mi state tutti a cuore, specie i più tribolati»
«La Visita pastorale è il momento in cui io posso dire che voi mi siete cari e per questo sono venuto in questa parrocchia dove vi è una comunità di persone che la frequentano da tempo e una comunità di fedeli ucraini. Voi tutti mi state a cuore e sento responsabilità per il vostro cammino di fede. Mi siete cari e meritate la mia gratitudine e affetto: particolarmente quelli che più sono tribolati devono sentire la sollecitudine della Chiesa, la generosità degli italiani che in queste settimane ha avuto una visibilità veramente commovente, come ha ricordato don Igor nell’incontro con il Consiglio pastorale che ha preceduto questa liturgia», osserva monsignor Delpini che, poco prima aveva incontrato anche la comunità ucraina al termine della loro celebrazione, rivolgendo parole di affetto.
Il richiamo per tutti è a far parte consapevolmente di una comunità. «Dobbiamo sentire la bellezza di essere inseriti in un territorio e la forza che viene dall’appartenere a una Diocesi ricca di iniziative come la nostra e alla Chiesa tutta. Nessuna parrocchia può vivere da sola, apritevi alla pastorale di insieme, sentitevi parte della grande Chiesa di Milano».
I cristiani «popolo della speranza e della compassione»
E prosegue l’Arcivescovo con il pensiero rivolto al presente e alla pagine evangelica appena proclamata. «La nostra originalità è condividere la visione di Gesù sulla vita e partecipare alla sua opera nella storia. Laddove la mentalità contemporanea mi pare incline a rassegnarsi all’inevitabile, noi cristiani siamo originali, perché siamo il popolo della speranza. Tante situazioni ci lasciano smarriti, tanti eventi sconcertati, come questa guerra che è lontana, ma anche vicina perché affligge gente che incontriamo tutti i giorni, che ha ancora persone care laggiù e che vede distrutto tutto, anche le testimonianze della storia e culturali. Ma noi, popolo della speranza, continuiamo a dire ricostruiremo e costruiremo una storia nuova».
«Il commuoversi di Gesù ci insegna a essere il popolo della compassione: non possiamo restare indifferenti o guardare le notizie del telegiornale come se fossero insignificanti. La compassione vuol dire che il soffrire degli altri ci fa soffrire, che non possiamo passare davanti al dolore senza chiederci cosa possiamo fare e come creare un contesto in cui sia possibile consolare».
L’invito è «non fare solo delle cose, come siamo inclini noi milanesi», ma a coltivare questi sentimenti. «Pur riconoscendo la nostra impotenza a risolvere i grandi problemi che ci affliggono, professiamo la persuasione che così inizia una storia nuova che non comincia con qualche pronunciamento dei potenti del mondo, con investimenti, ma quando donne e uomini e donne che non fanno notizia e discorsi, magari inermi, percorrono la terra e avvertono la compassione e testimoniano la speranza».
L’Inno alla Madonna
Poi, il canto – eseguito dal coro ucraino – di un Inno alla Madonna «con cui tradizionalmente si chiede che la madre di Dio ci prenda sotto il suo manto, che sempre ascolti la nostra preghiera, che allontani il male da ogni uomo», seguito da tutti in ginocchio con l’Arcivescovo e altri concelebranti ai piedi dell’altare.
Infine, ancora alcuni «segni che diventano impegni» come il lasciare alla comunità dei Santi Giacomo e Giovanni, la lampada rossa con una fiamma vivace quale «invito a pregare per le vocazioni, ciascuno per la propria e tutti insieme per i ragazzi perché nessuno sia una lampada spenta e perché vi siano coloro che dedichino la loro intera vita al Signore»; la consegna della lettera a nonni e nonne – «voi potete fare molto anche quando vi sembra di non poter fare più niente, perché sempre si può pregare, dire una parola saggia e buona e si può ascoltare», come suggerisce il vescovo Mario – e la benedizione del Signore «perché voi, che siete benedetti da Dio, siate una benedizione per quelli che vi incontrano».
E, a conclusione, arriva anche il dono portato da alcune bimbe ucraine: un pane fatto a mano, tipico del Paese e due artistiche icone rappresentanti il Signore e la Madonna «che ogni nostra famiglia ha all’ingresso della propria casa», come spiega don Krupa.