Una bimba adottata inizia a crescere regolarmente, poi manifesta deficit cognitivi e comunicativi causati da una rara sindrome. Ora ha 12 anni e affronta le sue difficoltà relazionali sostenuta dalla forza della famiglia e circondata dall'affetto di amici e comunità. I genitori: «Non siamo soli e non ci sentiamo tristi»

di Luisa Bove

Chiara Carofiglio
Chiara tra mamma e papà

«Chiara è l’unica figlia che abbiamo. Volevamo 5 figli, ma il Signore ce ne ha data una che vale per tutti», esordisce Vera Carofiglio, che racconta mentre il marito Andrea le è accanto. I coniugi porteranno la loro testimonianza in un video che verrà trasmesso durante la festa del 18 giugno in piazza Duomo (leggi qui la presentazione).
«Chiara ha 12 anni – spiega Vera -, l’abbiamo adottata quando aveva solo 28 giorni, dopo 6 anni di matrimonio». Era molto piccola, nata prematura alla 28esima settimana di gestazione e pesava poco più di un chilo.

All’uscita dall’ospedale ha iniziato a stare meglio, recuperando perfettamente: durante la crescita non stava mai ferma, aveva tanta energia in corpo, tanto che mamma e papà la chiamavano «Duracell». Fino a 2 anni Chiara ha avuto uno sviluppo armonioso, accompagnato dalle visite periodiche alla Mangiagalli. Poi i genitori hanno iniziato a notare qualche difficoltà di comprensione: Chiara aveva iniziato a parlare, ma regrediva nel linguaggio e sembrava non sentire. Appurato che non c’era sordità, la bimba è stata sottoposta a una visita neuropsichiatrica e a diversi test, in base ai quali i medici hanno accertato un leggero ritardo cognitivo e difficoltà soprattutto del linguaggio e della memoria.

La diagnosi

Nonostante alcune sedute con psicologi e psicoterapeuti, «non si capiva che cosa avesse Chiara – dice ancora la madre -: si è parlato di un disturbo dell’attaccamento fino a quello dello spettro autistico. Quando ha compiuto 9 anni la terapista non era ancora convinta di quest’ultima diagnosi». Aveva ragione: finalmente si è scoperto che Chiara era affetta da sindrome feto-alcolica (Fetal alcohol syndrome), dovuta alla trasmissione alla nascitura di alcol assunto dalla madre naturale durante la gravidanza. «Trovare la diagnosi esatta è stato difficilissimo – assicura Eva -, ci sono voluti quasi due anni perché in Italia il Fasd (Fetal alcohol spectrum disorders), molto simile all’autismo, non è un disturbo conosciuto».

Chiara è una bambina molto sensibile e intelligente. Dagli ultimi test non risulta un ritardo cognitivo, piuttosto non riesce a rispondere come dovrebbe e crescendo le difficoltà relazionali sono aumentate. «Dopo il lockdown non è più riuscita a tornare in classe, l’abbiamo ritirata dalla prima media perché non riusciva a stare a scuola più di due ore – continua la madre -. Quest’anno abbiamo cambiato istituto, dove rimane tre ore al giorno, ma in una aula tutta per lei e solo adesso inizia ad avere piccole relazioni con qualche compagno che la raggiunge per fare i compiti insieme. Purtroppo la dimensione relazionale è molto compromessa e il lockdown l’ha rovinata, perché non potendo stare con gli altri è come se avesse disimparato a vivere le relazioni». Ora sono subentrati anche disturbi psichiatrici: «Chiara gestisce poco la frustrazione e le crisi d’ansia la rendono molto aggressiva, quindi ha paura di non riuscire a controllarsi e di fare del male ai compagni. Eppure avrebbe bisogno di stare con gli altri, per questo stiamo cercando di inserirla in un centro socio-educativo».

La verità sull’adozione

La sua diagnosi è riconosciuta dall’Oms, ma in Italia non sono in grado di trattarla. In questo momento si sta sottoponendo a terapie sul trauma, molto simili a quelle che ricevono i ragazzi autistici, perché per lei non esiste nulla di specifico. «E poi c’è l’adolescenza con tutte le sue problematiche – spiega Vera -, e la questione dell’adozione, perché a quest’età tutti i ragazzi adottati iniziano a non accettare la propria storia, faticano a relazionarsi con la famiglia adottiva e cercano quella biologica».

Chiara sa di essere stata adottata, è sempre stata una bambina che poneva tante domande e i suoi genitori non le hanno mai nascosto la verità. L’abbandono è molto difficile da metabolizzare, specie con le sue difficoltà di linguaggio e di memoria. «Ma noi non siamo tristi, ci tengo a dirlo. Siamo affaticati, ma non siamo soli: abbiamo tanti amici e una nonna che ci aiuta. E poi c’è la nostra comunità dell’oratorio ai Quattro Evangelisti, io e Andrea ci siamo conosciuti lì e siamo rimasti a vivere in zona dopo il matrimonio. Qui ci sentiamo a casa. Non ci sentiamo schiacciati da ciò che stiamo vivendo e Chiara ci aiuta a mantenere vivo il rapporto con il Signore che l’ha voluta così. Certo, ci arrabbiamo perché stare di fronte alle sue difficoltà non è semplice, ma non ci siamo mai disperati, chiediamo molto aiuto agli altri. E l’aiuto arriva».

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