Si è aperta la Tre giorni di studio, eventi e testimonianze dedicata a “Silenzio e Parola”, per approfondire la straordinaria esperienza della “Scuola della Parola” voluta dal cardinale Martini. Tra gli interventi anche quello dell’Arcivescovo
di Annamaria
Braccini
Ormai è quasi un mito: chi c’era, nei primi anni ’80, non lo può dimenticare, anche se, ovviamente, giovane non è più; chi, negli anni, ha visto tanti amici e i fratelli maggiori prenderne parte, l’approfondisce sui libri e attraverso le testimonianze dirette; chi – per ragioni anagrafiche – ha letto, magari molto di quella esperienza, vorrebbe ripeterla.
Forse anche per questo, la “Scuola della Parola” voluta, vissuta, trasmessa dal cardinale Martini (e oggetto del fortunatissimo IV volume della sua Opera Omnia edita da Bompiani), non poteva che diventare un “luogo della memoria”, ma soprattutto il riferimento, anche oggi, di tanti credenti di diverse età.
A tutto questo è dedicata la Tre giorni di studio, approfondimento ed eventi, “Silenzio e Parola”, promossa dalla Fondazione Martini presso Centro San Fedele di Milano, anche in vista del Sinodo dei Vescovi sui giovani di ottobre.
Dal 6 novembre 1980, quando 2000 giovani si ritrovarono nel Duomo di Milano, al 2002 (anno in cui Martini, per raggiunti limiti di età, lasciò la guida della Diocesi) durò la”Scuola della Parola”, nella quale l’Arcivescovo delineò il metodo della Lectio divina per leggere la Bibbia.
«Potrebbe spiegarci come pregare con il Vangelo?»: da questa richiesta di alcuni ragazzi (ha raccontato lo stesso Martini) era nata l’idea della Lectio in Cattedrale e da interrogativi simili dei ragazzi del Terzo millennio, prende avvio anche il Convegno, con la presenza e gli interventi del presidente e vicepresidente della Fondazione, i padri gesuiti Carlo Casalone e Giacomo Costa, le riflessioni di monsignor Franco Agnesi, Vicario generale, e di monsignor Paolo Bizzeti, Vicario apostolico dell’Anatolia in Turchia. Poi, le testimonianze di Giovanni Colombo, Elena Parasiliti, don Enrico Parolari, Anna Scavuzzo che “raccontano” ciascuno un “proprio” Martini, tra conoscenza diretta, amicizia, guida nella fede.
A concludere l’incontro arriva monsignor Mario Delpini che indica alcune risonanze personali del Magistero martiniano che «ha segnato – dice – la vita del Seminario di Milano».
Infatti, «il tema della Parola, con cui egli ha aperto percorsi per entrare nella Scrittura è stato particolarmente incisivo in Seminario, nel luogo dove si sono formati i preti di quegli anni. Mi ricordo come il metodo della Lectio, in un percorso di introduzione e di commento ad alcuni testi, di curate letture di talune corrispondenze che facevano emergere i punti centrali, abbia segnato la Comunità seminaristica non come una teoria, ma come una pratica».
Non solo teoria, insomma: «Il cardinale Martini ha predicato a tutti i segmenti della formazione seminaristica, dai giovani degli ultimi anni ai ragazzi delle scuole medie che, allora, vi erano ancora in Seminario. La sua proposta è stata un accompagnamento e non solo un Magistero. Per questo esprimo gratitudine e apprezzamento per un modo di essere vicino a coloro che fanno un discernimento fondamentale della vita come è scegliere di diventare sacerdote».
Giunge, però, anche un monito, frutto di un rischio avvertito da monsignor Delpini: «La lettura della Parola proposta dal Cardinale non è un mito indistruttibile». A volte rischiamo di ripetere una tecnica senza averne lo stile che gli fu proprio, suggerisce il successore sulla Cattedra di Ambrogio e Carlo. «Dobbiamo vigilare perché temo che l’espressione “scuola” non consenta di cogliere fino in fondo il Magistero martiniano. L’aspetto di una comunicazione intellettuale e di una qualche enfasi sull’aspetto cognitivo mi sembra che fraintenda il suo atteggiamento che vedeva la Scrittura non come un libro, per la cui lettura quale bisogna imparare una tecnica, ma come un pozzo – secondo quanto dicevano i Padri – da cui sgorga, ogni giorno, l’acqua fresca per vivere e dissetarci. Il suo era un modo di entrare in un Libro che non è solo un libro, ma un’amicizia che introduce a un’intimità».
Quindi, Scrittura «che non è una collezione di parole sapienti o un racconto esemplare», ma un roveto ardente che, per chi si avvicina, diventa fuoco».
«Per come vedo io il futuro, mi immagino di sostituire la parola “scuola” con la parola “appello, vocazione, chiamata di Dio, anche correzione”», conclude il Vescovo.
L’indicazione è chiara: occorre tradurre correttamente il messaggio di Martini e leggere la Parola sapendo che un amore che ci parla, Dio.