Nel parco della Chiesa Rossa, nel Decanato Navigli, l’Arcivescovo ha presieduto la Via Crucis quaresimale per la Zona I

di Annamaria Braccini

Via Crucis per la Zona Pastorale I

La croce che, nel buio della sera, viene portata per le strade, tra la bellezza antica e suggestiva del parco della Chiesa rossa e i palazzi della periferia metropolitana. Non poteva esservi forse luogo migliore per celebrare la Via Crucis presieduta dall’Arcivescovo nella Zona pastorale I (Milano), del quartiere che prende il nome proprio dall’antica chiesa di Santa Maria alla Fonte o Chiesa Rossa ad Fonticulum, che si affaccia come un piccolo gioiello sui Navigli. Immersa nel parco dove – oltre al luogo di culto risalente all’VIII secolo, ma probabilmente con vestigia romane precristiane – trovano oggi posto portici ed edifici rurali riadattati a biblioteca e spazi di uso pubblico.

Un contrasto tra secoli passati che parlano della profonda penetrazione della fede cristiana a Milano e realtà di oggi nel Decanato Navigli – dove è in corso la Visita pastorale – in cui si inserisce con rara armonia la Via Crucis, cui partecipano molte decine di fedeli in preghiera, tanti abitanti che si affacciano da balconi e finestre al passaggio della croce, molti sacerdoti con le loro comunità. Accanto all’Arcivescovo, il Vicario episcopale di Zona, monsignor Carlo Azzimonti, e il parroco e decano, don Walter Cazzaniga. Al cuore del rito, l’incontro di Gesù con le donne, immagine anche delle madri che hanno perso figli e figlie nella guerra tragica che non finisce.

Sull’elogio del silenzio, del gesto apparentemente inutile e delle lacrime, si sofferma la riflessione dell’Arcivescovo (leggi qui il testo integrale) al termine del percorso in quattro Stazioni – l’incontro di Gesù con Maria sua madre, con la Veronica, con le donne di Gerusalemme e la morte in croce – vissute tra canti, lettura della Parola di Dio, la meditazione affidata ai testi de La mia vita di Santa Teresa di Gesù (da poco rieditati dale Carmelitane di Legnano) e le invocazioni.

L’elogio del silenzio

«Ci sono poche parole sulla via della croce. Si possono immaginare grida e trambusto, vociare di molti, insulti e gemiti. Ma la stazione dell’incontro con la Madre è piuttosto l’invito al silenzio. Si immagina un incrocio di sguardi piuttosto che un dialogo, un silenzio straziato, piuttosto che un grido. Facciamo l’elogio del silenzio: nel silenzio lo sguardo rivolto verso il figlio amato, nel silenzio la compassione che ferisce l’anima, nel silenzio quel senso di impotenza che non sa come dare conforto. Il silenzio raccolto nella contemplazione: una specie di fastidio per il vociare continuo delle notizie, delle chiacchiere, delle parole inutili, delle parole aspre, delle discussioni, dell’invasione inarrestabile delle immagini. Il silenzio per consentire allo sguardo di orientare il pensiero e di placare la fantasia che corre qua e là anche quando siamo fermi, il silenzio che consente alla parola di germogliare, buona come un seme che porta frutto, il silenzio che tiene fisso lo sguardo su Gesù e consente allo sguardo di Gesù di entrarci nell’anima con una commozione più intensa, con una rivelazione più struggente, con una dichiarazione d’amore più indiscutibile».

L’elogio del piccolo gesto

E, poi, l’elogio del gesto gratuito e inutile, come quello di Veronica che asciuga il volto di Gesù: «Dobbiamo ancora esplorare il mondo inesplorato denso di fascino e di mistero degli affetti, della tenerezza. C’è nella spontaneità del gesto gratuito, un mistero e un messaggio. La fretta rende sgarbati, la passione rende possessivi, l’avidità rende violenti: ma si fa avanti Veronica che asciuga il volto di Gesù, il gesto gratuito che non serve a niente, che è grazia, che è il più necessario per confermare che il volto sfigurato è amabile e rivela l’amore che la violenza e la stupidità degli uomini non possono stancare e non riescono a nascondere».

Il gesto semplice che è, forse, ieri come oggi il più necessario: «Il gesto gratuito è il più necessario perché dice al Figlio dell’uomo e a ogni figlio d’uomo la verità. La verità più necessaria non è quanti soldi ci siano in banca, non è quanto di quanto potere si può vantare. La verità più necessaria è l’amore. Anche l’amore impotente e straziato, sconfitto e ignorato è il messaggio più necessario per una via che sia desiderabile».

L’elogio delle lacrime

Infine, il terzo elogio per le lacrime sull’esempio delle donne di Gerusalemme, pronunciato nell’ampio cortile dell’oratorio della chiesa di Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa, dove l’Arcivescovo celebrerà per la Visita pastorale domenica prossima. Le lacrime come messaggio della compassione: «Le figlie di Gerusalemme rivelano la verità dell’animo umano e contrastano quell’indurirsi del cuore che può diventare un cuore di pietra. Il cuore di pietra si difende con l’indifferenza: forse chi è indifferente ha sofferto troppo, forse ha troppa paura, forse è stato convinto a ignorare, disprezzare, allontanare dallo sguardo e dall’affetto coloro che non sono “dei nostri”. Ma l’uomo e la donna sono inclini alla compassione, la sofferenza degli altri non può lasciarli indifferenti. Le lacrime saranno forse inutili, ma dichiarano che non è giusto che un fratello, una sorella soffrano per mano di fratelli e sorelle. Non è giusto: io non posso aggiustare il mondo e ristabilire la giustizia, ma non trattengo le lacrime, provo compassione. Le lacrime delle figlie di Gerusalemme sono lacrime preziose perché abbattono l’indifferenza e rivelano che gli uomini e le donne hanno un cuore di carne, la verità del cuore umano».

A conclusione è monsignor Azzimonti a dire, prima del congedo: «Abbiamo portato nel nostro cuore il volto straziato delle donne, anche delle madri ucraine che sono in questo quartiere con i loro bimbi (nella vicina chiesa dei santi Giacomo e Giovanni ha sede la missione dei fedeli ucraini di Rito bizantino San Josaphat). Siamo l’espressione di questa Chiesa che vive di un fremito di preghiera e siamo certi che questo fremito raggiungerà ancora tante persone nella città talvolta distratta».

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