All’Istituto dei Ciechi di Milano festeggiati i 116 anni dell’Asilo Mariuccia, Fondazione che si occupa di madri maltrattate o sole e di minori, e che ha assegnato all'Arcivescovo il suo Premio annuale
di Annamaria
Braccini
Il bene che non basta mai. Il desiderio di operare sempre meglio, insieme, senza dividersi “per etichette”, ma anzi facendo rete, creando sinergie, facendosi – e, a spiegare tutto, basta la parola – “gemelli”. Perché, come dice l’Arcivescovo, «ogni frammento di bene che si fa, anche piccolo, abita l’eternità»
È questo il senso che guida la serata che festeggia i 116 anni dell’Asilo Mariuccia e nella quale, presso la splendida Sala Barozzi dell’Istituto dei Ciechi di Milano, viene consegnato, appunto al Vescovo Mario, il Premio “Mariuccia” 2018.
Associazione benemerita, l’attuale Fondazione Asilo Mariuccia che sostiene madri maltrattate o sole, bimbi e ragazzi in difficoltà (in carico ai servizi Sociali Territoriali e da questi segnalati).
«La città e la pubblica Amministrazione devono ricordarsi cosa facciano queste Istituzioni perché, forse, nel tempo se ne sono un poco dimenticate. Non vogliamo nuove risorse, ma vogliamo continuare a far bene», dice il Commissario Straordinario dell’Istituto dei Ciechi, Rodolfo Masto, dando il benvenuto.
Parole cui fa eco il presidente della Fondazione Asilo Mariuccia, Camillo de Milato parlando dell’Ente «realtà socio-assistenziale che trasforma il disagio e la difficoltà in lavoro. Eccellenza – aggiunge rivolto all’Arcivescovo -, prenda in mano tutte queste Associazioni, faremo qualcosa di grande e di bene».
I saluti delle autorità istituzionali precedono il bel concerto dell’Orchestra giovanile “Pepita” (che dal 2008 ha visto la partecipazione di oltre 300 ragazzi che, senza specifica istruzione musicale, hanno saputo aggregarsi superando anche forme di disagio), «perché la musica educa alla vita», spiega Barbara Bianchi Bonomi, presidente di Children in Crisis-Italia, di cui “Pepita” è un progetto.
Insomma, il “modello Asilo Mariuccia”, dopo oltre un secolo, funziona ancora «offrendo spazi di cura riparatori per le donne e i piccoli che rendano possibile una crescita sia della loro autostima, sia nelle competenze».
Tante le parternship e i gemellaggi che, alla fine dell’incontro vengono ribaditi e confermati presenti tutti i rispettivi presidenti: con l’Associazione City Angels, Il Villaggio della Madre e del Fanciullo, l’Associazione Pane Quotidiano, la Croce Rossa Comitato Provinciale di Milano, la Società Umanitaria, la Fondazione Don Carlo Gnocchi (il gemellaggio è avvenuto nel 2017) l’Istituto dei Ciechi. «Istituzioni milanesi che hanno in comune la missione all’aiuto sollecito, alla comprensione, alla collaborazione generosa e la volontà di trovarsi insieme in opere di bene con al centro la persona», come si legge nella motivazione dei gemellaggi rinnovati.
Poi, la consegna del premio dell’Arcivescovo come «rappresentante della Chiesa del grembiule, per la sua sensibilità verso il prossimo».
L’intervento dell’Arcivescovo
Ringrazia, del riconoscimento, il Vescovo che dice di considerarlo come un incarico ricevuto. «Il presidente de Milato diceva: “Prenda in mano tutto questo bene, queste Associazioni». Questo, naturalmente, è impossibile perché vi sono riferimenti istituzionali e tradizionali. Però mi sono chiesto che cosa si aspetta, dal Vescovo, questo gruppo di “gemelli” che rappresentano tante Istituzioni. Io mi immagino che quello che ci si aspetta da una Chiesa è non tanto che coordini delle iniziative o che faccia emergere delle risorse, ma piuttosto che curi quella che noi cristiani chiamiamo l’anima, l’anima della vita, l’anima della città, l’anima delle istituzioni. Ora l’anima, nel concetto un po’ banale che se ne ricava, è una specie di fantasma che, quando si muore, continua a vagare nell’universo. Invece, i cristiani non hanno un’idea così sciocca dell’anima e pensano che sia quella realtà misteriosa che fa sì che, nel precario, possa abitare l’eternità; che, nel particolare, possa incontrarsi l’universo; che, nel frammento, viva il tutto. Ecco cos’è l’anima: è quella profondità di ogni cosa che collega a tutto il bene possibile. Perciò io apprezzo questo dono, ma soprattutto apprezzo l’opera dell’Asilo Mariuccia e di tutte le Istituzioni qui rappresentate, perché fanno il bene che è possibile essendo nate dall’intuizione che c’era un bisogno, ma anche delle risorse e che si poteva, con queste ultime, andare incontro alle necessità».
Certamente – ammette l’Arcivescovo – i bisogni sono così spropositati, le necessità così infinite che un piccolo gesto, può sembrare poco, ma quando uno pensa all’anima, dice: «Nel piccolo gesto di bene, nel gesto minimo, abita il bene dell’universo, cioè tutto si concentra in ogni frammento, non è un pezzetto insignificante. Lo dice il Signore nel Vangelo : “Ciò che avete fatto a uno di questi fratelli più piccoli l’avete fatto a me”. Ogni volta che fate un frammento di bene, siete in rapporto con Dio, con il Bene e la sorgente di ogni bene”. Questo è l’anima: è il principio della relazione con Dio. Io non sono capace di fare tutto il bene possibile: sono capace soltanto di aiutare la mia comunità cristiana a essere presente, a fare quel gesto minimo di bene che, insieme con tanti altri, fa sì che il piccolo particolare apra al bene universale, al bene divino, al bene eterno. Ogni Associazione ha dentro una rivendicazione d’identità, che qualche volta è giusta e qualche volta è un po’ un puntiglio, però a me sembra che da qualunque parte si cominci, qualunque siano le motivazioni che ci spingono, il bene è bene. Quindi, che io sia cattolico, che tu sia laico, che l’altro sia liberale o socialista, in fondo, è un’etichetta che non dice granché. Dice soltanto che se si va al fondo del piccolo gesto di bene, dell’attenzione minima a una persona, si raggiunge l’eternità».