Redazione
Don Antonio Colombo, 67 anni, è da pochissimi giorni giunto in Perù, nella parrocchia dove svolgerà il suo ministero come prete fidei donum. Lontano dall’Italia, ma anche lì alla radio gira la pubblicità del “panetòn”, detto proprio così, quasi in dialetto milanese. Il Natale è chiamato invece “la Nochebuena”: non un augurio, ma una certezza, ricca di luce, speranza, pace.
di Antonio Colombo
sacerdote ambrosiano fidei donum in Perù
Quando si sta imparando una lingua nuova, occorre andare molto adagio per scoprire il valore di ogni parola per capirne il significato profondo. Nella lingua spagnola parlata qui in Perù, la Notte di Natale è chiamata “Nochebuena”. Rifletto: quando ci si saluta verso sera si augura la buona notte “buenas noches”, ma poi si può avere una notte agitata come quando sei all’ospedale con il femore rotto, oppure una notte dal sonno tanto profondo da non sentire che sono entrati in casa e ti hanno rubato il computer!
Con la parola “Nochebuena” il Natale non è “un augurio” che si possa o no realizzare, si tratta di una realtà: è davvero una Notte buona, vera, ricca di luce, di speranza di pace. La buona notizia è già qui con noi, con il Bambino nato tra noi a Betlemme e che rinasce per noi in ogni angolo del mondo. Gustiamo tutti questa Nochebuena!
Tra le sorprese di questi miei primi giorni del Perù ( Il clima primaverile, il deserto accanto all’oceano, le case senza tetto perché non piove mai …) metto la mia parte di “angelo di Natale” nella Cresima di 200 adolescenti nella cattedrale di Huacho, domenica 9 dicembre. Quasi all’improvviso il Vescovo Monsignor Santarsiero mi chiama e mi dice: “Aiuta anche tu ad amministrare la Cresima”. Emozionato e tremante balbetto in spagnolo le parole della formula, mentre con il pollice ungo la fronte di Fiorella Gonzales, la ragazza di 16 anni che è inginocchiata e raccolta per ricevere il dono dello Spirito Santo. Non ho detto il nome, forse ho anche saltato la parola “sigillo”, ma sono sicuro di averle dato la mano e di avere augurato a lei e alla sua madrina la pace.
Un po’ meglio deve essere andato con Fabiola, la sua sorella gemella, con il suo nome e l’unzione con il sacro Crisma, riuscendo a notare i suoi occhi sereni e ricchi di una felicità contenuta e profonda. Che bello ungere con questo segno di fortezza cristiana la fronte ampia di un giovane di 18 anni che ricordavo di avere anche confessato: era lì con una fierezza degna del momento, elegante nel suo completo scuro, dopo avere cantato con gli altri – a memoria – l’inno allo Spirito Santo. Mi sono sentito come uno degli angeli della Natività, strumento dell’amore di Dio che trasmette il suo Spirito e la pace agli uomini che Lui ama, in qualsiasi angolo del mondo si trovino. Per me è già stato Natale, questo Natale 2007, pochi gradi sotto l’Equatore.
Ascolto la pubblicità della Radio per imparare la lingua e con mia sorpresa sento una parola in dialetto milanese ‘ Panetòn’. “Natale è vicino, mangiate il Panetòn di Santa Rosa e la famiglia si riunirà!” Davvero qui si trovano panettoni in ogni negozio e ad ogni prezzo; anche l’università di Huacho con 10.000 studenti produce 100 panettoni al giorno, nella Facoltà di alimentazione.
Nella mia “nuova” casa non può mancare il presepe. Ma quale? Nelle valigie c’era un torrone – già condiviso con gli altri missionari – insieme ad un presepe di pizzo di Cantù. Qui ho comperato un presepe di giunco alla cooperativa di Tejesol, che dà lavoro a tante donne. Li ho accostati l’uno all’altro e li sto gustando. Quello italiano è molto fine, con la capanna di vetro colorato di un forte azzurro da notte invernale che incornicia i tre personaggi del Natale, come guardati con amore da una stella tutta bianca come loro. È stato tutto ricamato con filo di lino bianco, punto dopo punto, dalle mani di fata delle donne del pizzo della parrocchia di Seveso.
Quello peruviano è fatto da altre mani di donna che hanno hanno intrecciato il giunco, cresciuto lungo la spiaggia deserta dell’Oceano Pacifico, per formare un simpatico presepe con la capanna, i tre personaggi colorati, una stella stilizzata e un angelo che sta a guardare. Sembra un ricamo anche questo con sottili giunchi intrecciati con maestria, con la posizione austera di San Giuseppe, con le mani incrociate, non giunte, della Madonna e il Bambinello Gesù di color verde, volto bianco e capelli neri, lì posato a terra su dieci cannucce e con due rialzate per fare da cuscino. Quanti piccoli segni di delicatezze in tutti e due. Non ho lucine da mettere attorno, non ho muschio verde, resteranno così, con una dolce Madonnina nera al centro, tutta impegnata a stringere con affetto quel Bambino che è suo e nostro, in qualsiasi angolo del mondo ci possiamo trovare.
Concludo con un augurio e una preghiera: la Nochenueva del Bambino Gesù ci aiuti ad essere “come degli angeli” che portano Il suo Spirito di Pace nel pezzettino di terra dove ognuno si trova, con il cuore aperto al tutto il mondo.