Redazione
Èil secondo Natale che Carlo Castagna passa senza gli affetti più cari, da quando due anni fa ha perso moglie e figlia nel “delitto di Erba”. «I miei cari – spiega – li sento più che mai vicini a me».
di Mauro Colombo
Beato chi abita la tua casa:
sempre canta le tue lodi!
Beato chi trova in te la sua forza
e decide nel suo cuore il santo viaggio *
Il prossimo sarà il secondo Natale da quando è successo. Dicono che il tempo guarisca qualsiasi ferita. Dicono anche che i lutti devono essere elaborati. Carlo Castagna, il suo, l’ha elaborato. Ma ha anche continuato a lavorare. Con il legno. Come faceva quel falegname di Nazareth che un giorno scoprì che sua moglie era incinta di un bambino di cui lui non era il padre. Sul principio, non capì; si arrabbiò, anzi, tanto che pensò di cacciare la donna dalla sua casa. Alla fine, però, si rese conto che quella maternità rientrava in un Piano più grande di quanto lui potesse comprendere e che doveva accettarla. Si rimise a lavorare e tirò avanti.
Una sera dell’anno scorso avvertirono Castagna che la sua famiglia era stata colpita da un terribile delitto. Anche lui, lì per lì, non capì: «Ero scioccato, impietrito. Facevo domande – perché? perché questa croce? perché far del male a persone innocenti, che mai ne avrebbero fatto ad altri? -, ma senza trovare risposte. Poi pensai che anche un evento così brutale poteva rientrare in un Piano».
Dicono che di qualsiasi cosa, prima o poi, ci si fa una ragione. Ma per Castagna, più che la ragione, c’entra la fede: «La fede dei miei genitori, dei miei nonni e delle mie zie, a cui mi sono nutrito. La fede condivisa totalmente con la persona che mi è stata accanto per trentasette anni. La fede di sua madre, abituata a sopportare tutto con disarmante serenità. La fede di quel sacerdote che mi disse: “Trasforma la tristezza in sofferenza: la prima opprime, la seconda può portare anche alla gioia”. La fede che mi spinse a pregare con la sicurezza che la porta alla quale bussavo era sempre aperta. Pregare anche per chi mi aveva strappato con la violenza persone che amavo». Alcuni dissero che esagerava: «Ma davo voce ai miei princìpi». Si rimise a lavorare e tirò avanti.
In fondo, èun po’ come con il legno: individuare il “disegno” racchiuso anche nel “ciocco” più grezzo e poi lavorare fino a dargli forma. Certo, la segatura puoi spazzarla via; il dolore no, «soprattutto se è pari all’amore che nutrivi per le persone che hai perduto». Ma se da quel ceppo senz’anima ed espressione è emersa l’immagine che avevi intravisto, il tuo lavoro e la tua fatica non sono stati vani.
Castagna non si chiede se quanto disse in quei giorni – non accusare a sproposito, non avere pregiudizi verso chi è diverso da te, perdonare anche chi ti colpisce negli affetti più profondi, non perdere la speranza – abbia prodotto qualcosa di buono. Ma se quelle parole hanno fatto breccia nella coscienza anche di una sola persona, «i miei cari, che sento più che mai qui vicini a me, saranno come quei chicchi di grano della parabola, gettati dal seminatore perché, morendo, possano dare frutto».
* Salmo 83,
tratto dal Libro da cui Carlo Castagna e la moglie Paola Galli ogni mattina recitavano insieme le Lodi: la signora Galli ha evidenziato questo brano con l’indicazione “alla mia morte, sugli annunci e sulle immaginette” il 4 dicembre 2006, una settimana esatta prima di essere uccisa a Erba (Como) con la figlia Raffaella, il nipotino Youssef e la vicina di casa Valeria Cherubini.