Redazione
Una donna incinta fuorilegge, una coppia in fuga dalle forze dell’ordine, un tetto malconcio sopra alla testa: Natale è questo, non la festa dei benpensanti e delle famigliole riunite. Sia lieto e gioisca chi è in affanno, sparigliato, chi vive dietro un filo spinato.
di Erri De Luca
Nello scasso profondo dei nuclei familiari Natale arriva come un faro sui cocci e fa brillare i frantumi. Si aggiungono intorno alla tavola apparecchiata sedie vuote da tempo. Per una volta all’anno, come per i defunti, si va in visita al cerchio spezzato.
Natale è l’ultima festa che costringe ai conti. Non quelli degli acquisti a strascico, fino a espiare la tredicesima, fino a indebitarsi. Altri conti e con deficit maggiori si presentano puntuali e insolvibili. I solitari scontano l’esclusione dalle tavole e si danno alla fuga di un viaggio se possono permetterselo, o si danno al più rischioso orgoglio d’infischiarsene.
Ma la celebrazione non dà tregua: vetrine, addobbi, la persecuzione della pubblicità da novembre a febbraio preme a gomitate nelle costole degli sparpagliati. Natale è atto di accusa. Perfino Capodanno è meno perentorio, con la sua liturgia di accatastati intorno a un orologio con il bicchiere in mano. Natale incalza a fondo i disertori.
Ma è giorno di nascita di chi? Del suo contrario, spedito a dire e a lasciare detto, a chi per ascoltarlo si azzittiva. Dovrebbe essere festa del silenzio, di chi tende l’orecchio e scruta con speranza dentro il buio. Converge non sopra i palazzi e i centri commerciali, ma sopra una baracca, la cometa. Porta la buona notizia che rallegra i modesti e angoscia i re.
La notizia si è fatta largo dentro il corpo di una ragazza di Israele, incinta fuorilegge, partoriente dove non c’è tetto, salvata dal mistero di amore del marito che l’ha difesa, gravida non di lui. Niente di questa festa deve lusingare i benpensanti. Meglio dimenticare le circostanze e tenersi l’occasione commerciale. Non è di buon esempio la sacra famiglia: scandalo il figlio della vergine, presto saranno in fuga, latitanti per le forze dell’ordine di allora.
Lì dentro la baracca, che oggi sgombererebbero le ruspe, lontano dalla casa e dai parenti a Nazareth, si annuncia festa per chi non ha un uovo da sbattere in due. Per chi è finito solo, per il viandante, per la svestita sul viale d’inverno, per chi è stato messo alla porta e licenziato, per chi non ha di che pagarsi il tetto, per i malcapitati è proclamata festa. Natale con i tuoi: buon per te se ne hai. Ma non è vero che si celebra l’agio familiare. Natale è lo sbaraglio di un cucciolo di redentore privo pure di una coperta. Chi è in affanno, steso in una corsia, dietro un filo spinato, chi è sparigliato, sia stanotte lieto. È di lui, del suo ingombro che si celebra l’avvento. Ècontro di lui che si alza il ponte levatoio del castello famiglia, che, crollato all’interno, mostra ancora da fuori le fortificazioni di Natale.