Si occupa di migrazioni, poveri, ammalati, carcerati, disoccupati e vittime dei conflitti armati, di schiavitù e tortura, e delle catastrofi naturali. Il prefetto cardinale Peter Turkson descrive questo servizio, operativo dal 1° gennaio nell’ambito della riforma della Curia voluta da papa Francesco
di Patrizia CAIFFA
«La nostra prima preoccupazione è dare ragione al Papa e dimostrare che il cambiamento è fattibile e lo abbiamo realizzato». Così il cardinale Peter Turkson, prefetto del nuovo Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, descrive l’intenso lavoro che si sta facendo in questi mesi nei palazzi apostolici per accorpare in un unico Dicastero il Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti, il Pontificio Consiglio per la giustizia e la pace, il Pontificio Consiglio Cor unum e il Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari. Operativo dal 1° gennaio 2017, il nuovo Dicastero è stato istituito da papa Francesco con un motu proprio del 17 agosto 2016. Si occupa di migrazioni, poveri, ammalati, carcerati, disoccupati e vittime dei conflitti armati, di schiavitù e tortura, e delle catastrofi naturali. Papa Francesco seguirà personalmente la sezione per i profughi e i migranti, guidata dai due sotto-segretari, padre Fabio Baggio e padre Michael Czerny. Da via della Conciliazione dove risiedevano ora i quattro Dicasteri avranno una sede unica, nella zona extraterritoriale vaticana di San Callisto, a Trastevere. Il cardinale Turkson annuncia, tra le novità imminenti, «una intensità nella diffusione dei messaggi e degli insegnamenti della Chiesa» nel settore dei profughi e migranti, che si occuperà anche della tratta di esseri umani.
Come procede il lavoro per la creazione del nuovo Dicastero?
«È una grande sfida in senso positivo. Il Papa vuole integrare le quattro strutture ai fini dello sviluppo umano integrale. Il nostro compito è rendere questo possibile. Il lavoro è diventato più intenso. Abbiamo cercato di non fare un conglomerato di quattro Dicasteri ma di formulare nuovamente la visione sociale della Chiesa per creare una sola realtà. Non perdiamo niente dei precedenti Dicasteri ma abbiamo un’unica direzione. È un processo lento ma vogliamo essere sicuri di non fare errori a causa della fretta».
A livello operativo e concreto come vi state organizzando?
«Il desiderio del Papa è che dall’accorpamento nessuno perda il posto di lavoro. Mettendo insieme i collaboratori dei diversi Dicasteri arriviamo a 63 persone. Ogni Dicastero, ad esempio, aveva 2 uscieri, in totale sono 8. Bisogna ricollocare e formare le persone perché imparino nuovi lavori. È un’attività molto interessante. Abbiamo sviluppato un unico organigramma perché tutti i Dicasteri hanno qualcosa in comune: tutti fanno studi e ricerche, tutti organizzano seminari e convegni. Da un lato, ci sarà il settore per lo sviluppo e la ricerca e, dall’altro, le diverse forme di apostolato: carità, misericordia, operatori sanitari, i progetti che i diversi Papi hanno creato (per il Sahel, Populorum Progressio, eccetera). Dobbiamo trovare un sistema logico per seguire tutte le diverse attività della Chiesa. Il principio di base è dare ragione al Papa e dire che questo è possibile. Perché ci sono tantissimi scettici. Quindi la nostra prima preoccupazione è dire che il cambiamento è fattibile e lo abbiamo realizzato».
Il Papa seguirà personalmente il settore per i profughi e i migranti. Quali novità possiamo aspettarci in quest’ambito?
«Il Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti aveva tantissimi settori al suo interno: rifugiati, migranti, circensi, rom, operatori del mare, aeroportuali. Ora solo migranti e profughi, a cui ne è stato aggiunto un altro sulla tratta delle persone. I due sotto-segretari padre Baggio e padre Czerny sono all’interno del Dicastero ma hanno un accesso privilegiato al Papa. Quindi discutono tutto e prendono istruzioni direttamente dal Papa. Ci sarà una intensità nella diffusione dei messaggi e degli insegnamenti della Chiesa in questo settore. Qualcuno aveva ipotizzato una enciclica ma è solo una ipotesi, non c’è alcuna certezza. Sappiamo solo che il Papa vuole annunciare al mondo che questo tema gli sta particolarmente a cuore. Per cui ha voluto dedicare maggiore attenzione allo studio e all’approfondimento».
Il Dicastero si occupa, tra l’altro, del tema dei cambiamenti climatici, di cui parla la Laudato si’. Quali attenzioni chiedete ai cattolici di tutto il mondo?
«Il carattere della dottrina sociale è lanciare i principi, poi l’applicazione va lasciata alle varie Chiese, perché le situazioni sono diverse. Il Papa nell’enciclica cita le posizioni di tantissime Conferenze episcopali riguardo al clima e questa è una novità. È compito delle Conferenze episcopali agire a livello locale. Questa è la sussidiarietà della Chiesa. Nei miei viaggi molti mi chiedono: perché i sacerdoti non ce ne parlano? L’ultima volta negli Usa. Spetta alla Chiesa locale. Noi diamo assistenza. Nel nostro sito possiamo pubblicare articoli e studi sull’enciclica. Ma i dettagli spettano alle Chiese locali. Questa è la sussidiarietà».
A proposito di Stati Uniti: teme che con il nuovo presidente Donald Trump, che ha già fatto annunci in materia, si possa tornare indietro nella lotta al riscaldamento globale?
«L’America è solo un Paese tra tanti. Certo, ha una sua importanza. Ma se mettiamo insieme Cina, Russia e Ue potremmo farcela. Speriamo che man mano la gente intorno a Trump gli faccia vedere la realtà. Noi stessi, da quando il Papa aveva annunciato il desiderio di fare l’enciclica Laudato si’ abbiamo ricevuto tantissime osservazioni sui cambiamenti climatici. Qualcuno ci diceva che stavamo trasformando una bugia in dottrina: ci sono ancora gruppi che pensano che i cambiamenti climatici non siano reali».