Un investimento sul futuro: questo il significato del Discorso alla Città dell’Arcivescovo secondo il Coordinatore diocesano di Rinnovamento nello Spirito Santo

di Alessandro MORI
Coordinatore diocesano RnS

Alessandro Mori
Alessandro Mori

«È la tentazione che emerge dallantico racconto della torre di Babele: la costruzione di una torre che arrivasse fino al cielo non esprimeva lunità tra vari popoli capaci di comunicare secondo la propria diversità» (FT 144).

La prova inattesa del Covid-19 sembra aver congelato il benvenuto dato al futuro lo scorso anno. E ora la favola del “tutto come prima” ci risulta alquanto stridente: «Questa normalità era malata di ingiustizie, disuguaglianze e degrado ambientale» (Francesco).

Il nostro Arcivescovo, partendo dalla vicenda del profeta, propone un gesto «sconsiderato»: investire sul futuro. Ciò che ci è posta dinanzi è la responsabilità sapienziale nel rispondere a quel «cambiamento d’epoca» (Francesco) che tutti, ora limpidamente, vediamo delinearsi.

Paradigmatico è l’avvio del Discorso pronunciato dall’Arcivescovo. Egli compie un’attenta diagnosi che definisce «emergenza spirituale», vera genitrice di ogni altra crisi. La sfida va accolta, e non respinta, facendo sì che ogni «situazione diventi occasione». Pare, così, che il mito di Babele prepotentemente riemerga nella sua opera. È riguardo a questo virus – molto più virale e mortale – che l’Arcivescovo mette in guardia la città. Tale virus potrebbe farci credere, mossi dal sospetto, che è meglio far da sé: «Nessuno si salva da solo» (EG 113).

Monsignor Delpini redige un protocollo comune scandito litanicamente dal complemento «insieme» che ne delinea il titolo evocativo: «Tocca a noi, tutti insieme». Tre le parole chiave.

La visione propone il cosa fare: «un cammino che siamo chiamati a percorre insieme». È anzitutto appello a ogni cittadino, richiamo e convocazione a fare insieme: «Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo» (LS 229). Tre le direttrici di questo «sognare insieme»: «un dovere da compiere», «un servizio da rendere», «un contributo da offrire».

La condivisione assume, così, la modalità propria di tale compito esigente e arduo: la fraternità come unico vaccino a Babele. Papa Francesco, nella sua ultima Enciclica Fratelli tutti, si domanda: «Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità?» (FT 103). L’Arcivescovo invoca quella che può essere definita una teologia pratica dei carismi: ogni particolarità tesa al «bene comune» (1Cor 12,7b), volta alla costruzione del tutto. I quattro principi di Evangelii gaudium (cfr 222-237) circa il bene comune sono più che mai attuali: il tempo è superiore allo spazio; l’unità prevale sul conflitto; la realtà è più importante dell’idea; il tutto è superiore alla parte.

Infine il Discorso pone tutti noi di fronte a una seria decisione: chi è questo “noi” richiamato dall’Arcivescovo? Il tempo supplica una nuova soggettività in grado di armonizzare le varie componenti in chiave di alleanza: «Mai come ora, c’è bisogno di unire gli sforzi in un’ampia alleanza educativa» (Francesco).

Anche il Rinnovamento nello Spirito Santo vuole rispondere a tale appello con profetica voce: «Eccomi, eccoci! Tocca a noi!». Spirituale e sociale, a Pentecoste, si incontrano scoprendosi alleati vincenti; Alto e altro sono così indissolubilmente congiunti sotto l’egida di una nuova laicità.

Di fronte alla confusione di Babele sentiamo necessario affermare, tutti insieme, una «Cultura della Pentecoste, che sola può fecondare la civiltà dellamore e della convivenza tra i popoli» (San Giovanni Paolo II). Affinché il Trascendente diventi immanente, quotidiana presenza al cammino, nonostante tutto.

«Voi pensate: i tempi sono cattivi, i tempi sono pesanti, i tempi sono difficili. Vivete bene e muterete i tempi» (Sant’Ambrogio).

 

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