L’Arcivescovo ha dialogato con 7 sindaci in rappresentanza di tutti i Primi cittadini dei Comuni della Zona pastorale V. Presenti anche alcuni parlamentari
di Annamaria
BRACCINI
La richiesta di aiuto per comprendere il presente e per progettare il futuro, la volontà di fare rete al fine di prendersi meglio cura delle giovani generazioni e del bene comune, la denuncia di un’inquietudine evidente nel territorio da leggere, tuttavia, con il realismo della speranza.
Sono tanti e diversi i temi, le preoccupazioni, ma anche le buone pratiche e i molteplici progetti realizzati che, a Monza, nella sede della Provincia di Monza e della Brianza, per quasi 2 ore alcuni sindaci presentano all’Arcivescovo. 7 Primi cittadini per altrettanti Decanati della Zona pastorale V che, in rappresentanza ciascuno di molti comuni – quasi un milione, in totale, i cittadini che vivono nel territorio di cui si fanno portavoce -, prendono la parola, unitamente ad altri rappresentanti istituzionali in riferimento al Discorso alla Città 2022.
A iniziare da Luca Santambrogio, presidente della Provincia Monza e Brianza e sindaco di Meda, che ricorda «il dovere di tornare a essere comunità, vedendo le fragilità dei nostri tempi, senza girare la faccia dall’altra parte». Sono presenti, tra gli altri, il vicario episcopale di Zona, monsignor Luciano Angaroni, alcuni Decani, l’arciprete di Monza, monsignor Silvano Provasi, il questore e il vice prefetto vicario di Monza-Brianza, Beaumont Bortone che fa riferimento alla collaborazione istituzionale. A moderare l’incontro è Sabino Illuzzi, responsabile della Commissione di Pastorale sociale per la Zona V.
Le testimonianze dei sindaci
Paolo Pilotto, sindaco di Monza, dice: «Solo in un’equilibrata relazione con gli altri, è possibile affermare se stessi. È un tempo che guarda attonito, forse anche stupito, la guerra alle porte, e, altrettanto attonito, guarda alle giovani generazioni, Rinunciando a una visione esclusivamente connessa al presidio, al controllo, molte Istituzioni della nostra zona si sono sedute attorno al tavolo del Prefetto e hanno messo in comune le loro competenze per avviare un confronto relativo a come agire insieme con i giovani, a partire dal tempo da condividere con loro»
Parole concordi dal sindaco di Lissone, Laura Borella: «I dati Istat riportano che circa 220.000 ragazzi tra i 14 e i 19 anni si dichiarano insoddisfatti della propria vita e si trovano in una condizione di scarso benessere psicologico. La situazione sul territorio del Decanto di Lissone è in linea con il trend nazionale. Per intercettare le situazioni di disagio e trovare risposte l’amministrazione di Lissone, ad esempio, ha attivato un apposito “Tavolo per la prevenzione e il contrasto giovanile nelle diverse forme”».
Interessanti e molto partecipate anche le iniziative sviluppate con bandi regionali, attenti a valorizzare l’inclusione attraverso lo sport l’arte (anche di strada), e, con un bando Anci rivolto al recupero dei Neet.
Alessia Borroni, primo cittadino di Seveso, porta la voce di circa 155.000 abitanti del Decanato Seveso-Seregno. «Abbiamo bisogno – spiega – di sinergia con la Diocesi perché le persone tornino a sentirsi rappresentate, riavvicinandole alla politica e alla vita della città anche attraverso le realtà del volontariato e dell’oratorio. La politica, in particolare nei paesi, non deve essere espressione dei massimi sistemi di potere, ma deve essere il sindacato della gente».
Dopo di lei, Simone Gargiulo, sindaco di Desio per il Decanato omonimo, ricorda che nessuno si salva da solo e scandisce «la parola d’ordine è unire le forze». Poi, il sindaco di un piccolo comune, Veduggio con Colzano, Alessandro Dittonghi, per il Decanato di Carate Brianza. «Ci pare che sia ora più che mai il momento di un risveglio del responsabilità, da parte nostra, degli adulti, ma anche dei ragazzi. Tornare al più presto a essere esigenti, non per mostrarsi bravi, ma per dare ciascuno il meglio di sé. Occorre riavvicinare i giovani alla politica»
Così anche Roberto Moscatelli, alla guida del comune di Figino Serenza (Decanato Cantù), che richiama l’incontro tra i sindaci e il arcivescovo del 26 marzo 2022, per il quale, nel Canturino si è continuato il percorso con due incontri ai quali hanno partecipato Primi cittadini, i Parroci, membri di Associazioni, individuando ambiti che vanno approfonditi quali la genitorialità, gli oratori, il mondo del lavoro».
Infine, Simone Sironi, sindaco di Agrate Brianza (Dec. Vimercate) torna sulle emergenze abitativa, educativa e di partecipazione politica, evidenziate dal vescovo Mario nel Discorso di Sant’Ambrogio 2022, E gli altri?. «Potremmo immaginare dei percorsi di formazione, della Scuole di formazione politica alla portata dei giovani, con un lavoro di rete tangibile che metta insieme le forze dei nostri oratori, delle Comunità, delle associazioni e amministrazioni?», chiede.
Guardare ai giovani con speranza
E proprio dall’emergenza educativa si avvia l’intervento finale dell’Arcivescovo: «Vi guardo con riconoscenza, non solo per il ruolo che svolgete, ma come persone concrete, con le vostre vicende e i problemi che tutti hanno. La mia gratitudine per chi si occupa della cosa pubblica è anche per questo. È giusto fare l’elogio dell’inquietudine, ma anche interrogarsi su come sia possibile custodire la serenità, avendo qualche momento in cui ci si prende cura di sé, stando con la famiglia, gli amici, leggendo, pregando, pensando», sottolinea subito il Vescovo, che continua rivolgendosi direttamente a coloro che siedono davanti a lui portando la fascia tricolore.
«Ci sono persone che hanno fiducia in voi, che naturalmente si aspettano qualcosa e che, talvolta, pretendono. Voi siete gli amministratori di tutti e dovete avere una visione unitaria che comprenda il bene comune, non i beni di qualche particolare punto di vista, quindi, anche il bene di coloro che non vi hanno eletti. L’amministrazione pubblica è una chiamata, ma anche una responsabilità più ampia».
«L’emergenza educativa è un tema che sfida e preoccupa. Noi cerchiamo cure, ma, forse, non siamo attenti alle ragioni». Osserva, con un riferimento primo alla famiglia.
«Mi sembra che la legislazione italiana ed europea, se fa qualcosa, sia più interessata a rompere la famiglia che a costruirla. Non si si può negare che favorire il diritto individuale sia alla base di una fragilità della società e della generazione giovanile. Talvolta, siamo strabici, vediamo che il problema è la famiglia o i giovani, ma non riusciamo a orientare delle prassi. Qualche volta mi chiedo se la nostra società europea voglia vivere o morire, tuttavia, io sono allergico alle generalizzazioni, perché i giovani non rientrano solo in categorie che ci fanno problema: ci sono ragazzi che hanno interesse per la vita e che si impegnano. Forse, la generalizzazione rischia di darci un’immagine cupa della gioventù, anche se le percentuali delle ferite sono preoccupanti».
Ma chi, allora, si deve prender cura dei giovani? «Certo le Istituzioni, la Chiesa – prosegue il vescovo Mario -, le associazioni, ma anche i giovani stessi. Dobbiamo infondere più coraggio, con l’idea che se il mondo è ammaccato, si può mettere mano ad aggiustarlo e non a distruggerlo di più».
Poi, la proposta: «E, se accanto all’amministrazione pubblica, ci fosse una delega di responsabilità a una giunta fatta da giovani, con un coinvolgimento amministrativo reale?. Potrebbe essere un modo per dire ai giovani di curarsi dei coetanei. Facciamoci carico gli uni degli altri, valorizzando quei ragazzi seri e motivati che possono aiutare, magari facendo il sindaco dei giovani».
Fare rete per il bene comune
«Di fronte alla diabolica attrattiva della complicità per fare del male, per cui si dice, “mettiamoci insieme e andiamo a fare la guerra”, noi diciamo, “mettiamoci insieme e andiamo a fare la pace”. Dovremmo capire che abbiamo un compito comune che unisce le nostre società: quello che ci motiva a camminare insieme perché c’è una terra promessa, una meta che merita di essere raggiunta. Questa è la speranza. La speranza è la ragione per cui si può intendere la vita come vocazione, la giovinezza come un arrivare a una terra promessa. Se noi adulti continuiamo a dire che va tutto male, perché i giovani dovrebbero avere la speranza di costruire un Paese dove sia desiderabile abitare?», si domanda l’Arcivescovo.
«Credo che qualche laboratorio-speranza potremmo metterlo in atto. Laboratorio non solo per eliminare le ferite, ma perché possiamo costruire un modello per aggiustare il mondo. Abbiamo la responsabilità della speranza e di creare dei prototipi per quella “Piazza Paradiso” che ho immaginato per i cresimandi».
Laboratori di pensiero e azione come il Tavolo – avviato dalla Chiesa di Monza e Brianza, in collaborazione con l’Università Cattolica, con le Istituzioni, la Prefettura, le Forze dell’ordine, il volontariato ecclesiale e non, le parrocchie, il Terzo settore e molti altri soggetti – che vivrà un momento di restituzione dei risultati raggiunti con il titolo “Azioni di welfare di comunità con i giovani e per i giovani”, come annuncia Sabino Illuzzi.
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