Nell’anniversario della morte del Beato Paolo VI (6 agosto 1978) pubblichiamo un suo discorso del 1963, nel quale parla del Vaticano II, confuta le ipotesi sulla sua elezione al soglio di Pietro e preconizza quanto poi sarebbe effettivamente accaduto al momento della sua successione
di Giovanni Battista MONTINI
Volevo vivere con voi l’ora grande, commossa, direi, misteriosa che è passata sopra la Chiesa e sopra il mondo. Farete bene nei vostri ricordi personali a raccogliere le emozioni di queste giornate di trepidazione della malattia mortale del Santo Padre Giovanni XXIII (…). Faremo bene anche sotto degli aspetti superiori a ricordare il Papa, perché ha avuto l’ispirazione… L’ho detto, anche qui, non so quante volte, in pubblico e in privato; dice, non è stata l’ispirazione dello Spirito Santo, ma fu qualcosa, un pensiero che diventò padrone di Lui: «Un Concilio. Eh sì! Ma si potrebbe fare!».
E mi narrò tutte le poche ore che precedettero questo annuncio, come si consultò con due o tre: uno di questi fu il defunto Cardinale Tardini, che allora era da poco Cardinale Segretario di Stato, fedelissimo, bravissimo, consumatissimo nelle cose della Chiesa, ma temperamento completamente diverso dal Papa. E il Papa, quasi con timidità, gli disse: «Avrei quasi pensato…» – trepidava nel dirgli il suo pensiero – «di convocare il Concilio Ecumenico». E il Papa rifaceva la scena e io la posso ben costruire perché conosco bene il Cardinal Tardini, anche nelle sue, direi, posizioni fisiche, che risponde: «Ah! Ah! Ah! un Concilio! Ma bene, Padre Santo, un Concilio. Va bene! Va bene!». E fu così che, rincuorato da un saggio e da un esperto – bisognerebbe conoscere chi era il Cardinal Tardini per non apprezzare questa improvvisa adesione, non è vero? all’idea del Papa – che rincuorò il Papa e il giorno dopo l’annunciò a San Paolo, come tutti sanno, come programma del Suo pontificato.
Ora questo avvenimento è una delle cose storiche della Chiesa e del mondo, fra le più grandi. Ce ne accorgeremo andando avanti e io credo che i nostri posteri lo dovranno ancora ricordare come uno dei momenti caratteristici. Lì c’è una scintilla che accende un incendio e lo sentiremo. Ed è su questo, cari alunni, che vorrei che si fermasse, sostasse la vostra meditazione. La Chiesa entra certamente in una fase di grande vitalità, ma anche di grande difficoltà, ma anche di grande problematica, come dicono adesso. Non dobbiamo impressionarci, e non dobbiamo, direi, neanche divertirci di eventuali discussioni ad alto livello che possono verificarsi davanti a noi. Il Signore guiderà le cose.
Possiamo consolarci di un fatto, che è evidente per tutti, ma è notevolissimo: che la Chiesa si presenta sotto forme magnifiche. Mai è stata così pura, mai così desiderosa di servire il Signore, mai cosi disinteressata, mai così staccata dagli interessi temporali, dalle interferenze di governi o di poteri di questo mondo. E anche se c’è disparere su certe vedute pratiche, su certi studi o su certe interpretazioni della verità della fede, da nessuno si può dubitare che ci sia un’altissima rettitudine. Per me l’aver passato le giornate del Concilio e aver potuto… M’hanno rimproverato, sapete, perché non ho quasi mai parlato: ho parlato una volta in principio e una volta alla fine.
Dice: «Ma perché non parla?». Ma perché preferivo ascoltare. E proprio mi pareva interessantissimo, come quando si ascoltano le prediche durante gli esercizi spirituali, questo grande dibattito di menti superiori, di Vescovi degnissimi, pastori zelanti, studiosi bravissimi, eccetera, che portano lì il contributo, direi, elaborato e faticato, di una loro espressione, di un loro pensiero! Ma è di una bellezza meravigliosa, ecco, meravigliosa. E quindi non dovremo meravigliarci se questa manifestazione della vita della Chiesa avrà ancora delle sue discussioni che potranno anche ripercuotersi fuori, in studi, in espressioni letterarie e anche, direi, di indirizzi pratici. Quello che è importante proprio davanti a questa fase della Chiesa, è quello intanto di capirla, di conoscerla bene. E cercate di non essere informati dai rotocalchi. Non c’è niente di meno sincero, di meno interessante, direi, di meno istruttivo, di questa stampa che rasenta davvero il disonesto per dare delle notizie impressionistiche.
Non credete poi a quelle che dicono sul conto mio, perché sareste proprio addirittura presi in giro da questa brava gente che cerca di indovinare e fare pronostici. Se si dovessero fare pronostici, vi saprei dire io ben altre cose: una, per esempio, e terminiamo, che non c’è mai stata tanta probabilità come in quest’ora della Chiesa che il Papa non sia italiano. E non sarebbe niente di strano. L’ecumenismo porta a questo, non è vero? E forse l’ora è matura perché ci sentiamo fratelli con uno che non è della nostra lingua e della nostra Nazione. Ma sarà quel che Dio vorrà. (…) Dovrei anche aggiungere che il dramma della vita ecclesiastica si complica, si arricchisce. Da questo: che il mondo è in tumulto, che il mondo è in una evoluzione accelerata che forse non ha mai avuto. E la Chiesa va appresso, resta in ritardo, anticipa, parla, eccetera. Il dialogo col mondo diventa anche qui, da una parte, confuso e polemico; dall’altra, invece, felice e quasi profetico, ché apre i sentieri dell’avvenire e della giustizia, come è stata, per esempio, l’ultima enciclica di Papa Giovanni sulla pace.