Il direttore di Villa Cagnola sottolinea lo «stile promettente» che caratterizza la proposta di dialogo tra istituzioni civili ed ecclesiali lanciata dall’Arcivescovo nel Discorso alla Città 2018 e al centro del ciclo di incontri svoltisi con gli amministratori locali (ultimo appuntamento il 25 giugno a Cinisello)
di Pino
Nardi
«Solo da comunità cristiane che comprendono la fede anche nella sua dimensione intrinsecamente sociale possono sorgere sempre nuove e vere vocazioni all’impegno sociale e politico, costruttrici di una nuova storia, libera dall’ondeggiare degli umori del momento». Monsignor Eros Monti, direttore di Villa Cagnola e studioso di temi sociali e politici, ha ospitato monsignor Mario Delpini nel suo primo incontro con gli amministratori locali della Zona di Varese lo scorso 16 febbraio. Qualche giorno prima (11 febbraio) era stato al Consiglio comunale di Milano. Successivamente l’Arcivescovo è intervenuto a Monza (2 marzo) e a Lecco (7 marzo). Martedì 25 giugno alle 21 sarà a Cinisello Balsamo per la Zona pastorale VII (Sesto San Giovanni).
Monsignor Monti, la partecipazione democratica e la corresponsabilità per il bene comune crescono su informazioni serie e non sugli insulti. È l’indicazione controcorrente dell’Arcivescovo. Quali strade percorrere per realizzarla?
La strada maestra credo sia quella della conoscenza seria, condivisa e continuamente aggiornata del proprio territorio, realizzata attraverso l’ascolto dei differenti soggetti che lo abitano e lo attivano. Per questo occorre farsi carico non solo dei dati emotivamente espressi, i più facilmente rilevabili, che divengono importanti solo perché spesso e in molti modi ripetuti, ma non necessariamente prioritari. Occorre invece un ascolto approfondito e un monitoraggio continuo per cogliere con attenzione i disagi nascosti, le potenzialità non ancora adeguatamente sviluppate – e sono molte, anche nel territorio varesino -; alla fine, per saper dare un giusto peso ai contenuti possibili dell’azione politica locale, così da farne i punti di forza e di priorità di un progetto organico, che abbia la consapevolezza solida dei punti di partenza e degli sviluppi coerentemente praticabili in vista degli obiettivi concordati, cioè per i quali ci si è resi disponibili a impegnarsi. Penso per esempio al problema del lavoro, a quello abitativo, delle famiglie, delle solitudini, delle vecchie e nuove povertà, alla tutela dell’ambiente.
Amicizia civica, dialogo, collaborazione concreta. La Chiesa ambrosiana sta avviando questi processi a Milano. È un esempio per tutti i territori?
Certamente, perché sta attivando uno stile promettente, che sta contagiando positivamente gli altri spazi della nostra Diocesi. Anche sul territorio della Zona pastorale II, grazie sia all’iniziativa “Lettera alla Città” per Varese, sia a un confronto attivato dal Vicario di zona e condiviso dai decani, si stanno moltiplicando gli incontri, informali o maggiormente continuativi, tra decani o parroci e amministratori locali, come occasioni di ascolto reciproco e di confronto, oltre che come premessa per una condivisione attiva e in grado di proseguire nel tempo. L’incontro con l’Arcivescovo a Villa Cagnola, poi, ha costituito un forte incoraggiamento a proseguire e ad affinare le proprie pratiche per due circuiti che uniscono diversi amministratori locali presenti sul territorio: Rete civica, attiva in particolare sul versante dell’accoglienza, e Amicizia civica.
Gli amministratori locali nella Zona di Varese come hanno recepito i messaggi contenuti nel Discorso alla città Autorizzati a pensare?
Anzitutto, è stata una preziosa occasione sia di riflessione a livello personale, sia di condivisione tra gli impegnati in ambito sociale e politico. È stata recepita l’esigenza forte di approfondimento, di lettura interpretativa delle diverse situazioni, di incontro e collaborazione tra i diversi soggetti operanti sul territorio. Un messaggio che ha saputo produrre effetti non soltanto sull’immediato, che continua a essere percepito nella sua attualità, opportunità e urgenza. Certo, resta ancora molto da fare, a livello più generale di comunicazione e opinione pubblica, per una recezione dei pressanti inviti del messaggio stesso a uscire dalla modalità sloganistica, emotiva e superficiale di fare politica.
A Gazzada da un paio di anni è stata rilanciata la Scuola di formazione sociale e politica. È questa la strada per far nascere una nuova classe dirigente? Come rispondono i giovani alla proposta?
Non è l’unica, ma è una proposta, che ci fa comprendere come ci siano giovani preparati, disponibili a impegnarsi in vari ambiti della vita sociale, e desiderosi di incontrarsi tra loro in luoghi e percorsi di approfondimento e studio. Qualcuno ha già al suo attivo esperienze di impegno amministrativo, o sta per iniziarle. Particolarmente apprezzate da parte loro sono le testimonianze, che consentono di accostarsi a esperienze mature e convincenti, emerse dal confronto diretto con la realtà. L’iniziativa, al suo secondo anno, ha raggiunto una quarantina di giovani, ed è in previsione un ulteriore percorso per il 2019-2020. Oltre a questo, sottolineerei gli incontri periodici tra credenti già impegnati nelle amministratori locali, spesso arricchiti con la presenza di testimoni, che può dare continuità formativa anche alla Scuola.
In un secolo i cattolici impegnati in politica hanno dato un contributo decisivo per costruire la democrazia italiana. Come possono farlo oggi?
Direi davvero in molti modi. L’apporto dei cattolici alla vita politica è prezioso certamente nella sua modalità più diretta e peculiare, quella della presenza negli organismi politici e amministrativi territoriali, non soltanto come rilevanza quantitativa, ma nella forma evangelica dell’essere sale, luce, lievito, di cui il mondo necessita. Va rimarcato inoltre l’importantissimo e capillare servizio svolto dalle parrocchie, da associazioni, gruppi, movimenti a livello di società civile. Servizio molte volte sottostimato, e che l’appiattimento della soggettività politica ai due poli estremi del cittadino (singolo!) e dello Stato tende a emarginare. A questo occorre reagire mostrando che, a tutti i livelli, il bene comune lo si realizza a partire dalla vicenda concreta di una comunità civile e soltanto insieme, cioè a partire dalla collaborazione efficace dalla triade: persone, società civile (quindi famiglie, associazioni, comunità cristiane, ecc) e istituzioni. Da ultimo, ma non ultimo, in ambito ecclesiale occorre agire parecchio sia sulla capacità di comunicare, di fare correttamente opinione, sia sul far sì che ogni credente riconosca la dimensione sociale come costitutiva, e non accessoria o provvisoria, del proprio credere.