A 10 anni dalla morte, monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico in Anatolia quando venne trucidato, è stato commemorato in un Convegno di Studi, svoltosi a Palazzo Reale e aperto dall’Arcivescovo
di Annamaria
Braccini
«Celebriamo la memoria di monsignor Padovese perché possiamo leggerlo come il fratello di tutti, così come papa Francesco scrive a proposito di Charles de Foucauld».
Potrebbe essere questa, con un’espressione del vicario episcopale, monsignor Luca Bressan, la “cifra” simbolica del Convegno dedicato appunto a monsignor Luigi Padovese con il titolo “Un milanese nella terra dei Padri della Chiesa”.
Mattinata di studi a presenze contingentate, svoltasi a Palazzo Reale con il saluto introduttivo dell’Arcivescovo, che avrebbe dovuto essere proposta nel giugno scorso, in occasione del decennale esatto della morte di Padovese, assassinato a Iskenderun quando era vicario apostolico in Anatolia e presidente della Conferenza Episcopale turca.
Promossa dall’Arcidiocesi, dal Comune di Milano e dai Cappuccini lombardi, la commemorazione è stata così l’occasione per un ricordo commosso e grato e per una riflessione approfondita, a più voci, sulla figura di questo illustre figlio della terra e della Chiesa ambrosiana. Così come ha ricordato monsignor Bressan, che ha moderato l’incontro – al quale hanno preso parte i vescovi Giuseppe Merisi e Paolo Martinelli, molti Frati Cappuccini e studiosi – aperto da un video messaggio della vicesindaco di Milano, Anna Scavuzzo. .
«Sono onorata di poter portare il saluto dell’Amministrazione comunale a questo Convegno che fa memoria di una figura esemplare di cosa vuol dire spendersi là dove vi è bisogno. Il suo è stato l’’impegno di un sacerdote e di un missionario, a cui la città non ha fatto e non fa mancare il suo affetto». Un esempio di martirio che ha «lasciato il segno», sottolinea la vicesindaco, ricordando i funerali in Duomo di monsignor Padovese, «che ci lascia il compito di raccogliere questa santità».
Il saluto dell’Arcivescovo
Tre i motivi su cui l’Arcivescovo punta l’attenzione per dire tutta la sua gratitudine. «Il primo, perché monsignor Padovese era di Milano, un frutto di questa terra e di questa Chiesa. Questo è un motivo di fierezza per la città: essere feconda di risposte alla vocazione che inducono a farsi carico della missione e a condividere un carisma. Milano ha tanti difetti e tante caratteristiche positive: qui le comunità parrocchiali, le presenze di vita consacrata, sono attrattive al punto da convincere uomini e donne.
Insomma, a Milano, al di là della secolarizzazione – suggerisce il vescovo Mario -, è ancora vivo lo slancio missionario. Il pensiero va ai 10 giovani uomini, tra cui 5 originari di Milano città che diventeranno preti ambrosiani il prossimo giugno, da lui ordinati diaconi la settimana scorsa in Duomo.
Poi il secondo motivo per cui è doveroso rendere omaggio monsignor Padovese. «Per il suo essere un patrologo, avendo studiato i Padri della Chiesa antica da cui ha tratto una sapienza che lo ha portato a essere missionario e predicatore, predicando anche ai Vescovi di Lombardia, o nella famosa Novena della “Madonna delle Lacrime” di Treviglio. Attingere alla sapienza antica fornisce una sapienza attuale capace di ispirare una parola adatta per il nostro tempo. Studiare la storia del pensiero non è perdersi in un’archeologia da museo ma è un lasciarsi istruire per essere sapienti così come il nostro tempo, così complesso, richiede», aggiunge l’Arcivescovo che ricorda il suo essere stato anch’egli studioso dei Padri della Chiesa.
Infine, la riflessione sui 10 anni trascorsi da quel 3 giugno 2010, quando il vicario apostolico dell’Anatolia veniva ucciso dal suo autista. «Come si può riconoscere la presenza della Chiesa in questo decennio? La Chiesa, in tutto il mondo, continua ad aiutare e ad annunciare il Vangelo, continuando – come risposta – a essere circondata da indifferenza, da disprezzo, da persecuzione. Il clima complessivo in tanti Paesi è di ostilità: il cristianesimo pare antipatico e la Chiesa poco affidabile. Questa situazione ci dice che, invece, noi vorremmo essere una Chiesa che continua a servire, ad amare, ad annunciare il Vangelo».
Poi, altri interventi, tra cui quello di fra Angelo Borghino, ministro provinciale dei Frati Minori Cappuccini di Lombardia che ricorda il legame forte, e mai interrotosi, tra Padovese e la Provincia religiosa di cui era figlio. «Anche quando visse l’esperienza romana amava definirsi un cappuccino vescovo».
Intensi il ricordo, in collegamento, di monsignor Paolo Bizzeti, successore del vicario apostolico ucciso (vedi intervento video) e il momento conclusivo affidato al vicario episcopale, monsignor Martinelli, confratello cappuccino di Padovese e suo amico fin dalla gioventù.
«La sua è una figura attuale per il rigore di studioso, per la sua capacità di dialogo con tutti, credenti e non credenti, per il grande impegno ecumenico e interreligioso, testimoniato anche dall’amicizia profonda con il patriarca Bartolomeo I e con esponenti del mondo musulmano. Significative risuonano ancora oggi le parole del cardinale Tettamanzi durante il funerale: “Chicco di grano caduto in terra è stata la vita di padre Luigi, che ha accolto come una chiamata della Provvidenza di Dio il suo ministero di Vescovo di Anatolia. In questa terra turca, che aveva tanto studiato, monsignor Padovese ha voluto inserirsi e lasciarsi macerare, amando questo nobile popolo”».