L’Arcivescovo ha presieduto la celebrazione del Corpus Domini: «In questa tragedia riceviamo la promessa di Gesù come parola di speranza, rivelazione di sapienza, indicazione di un cammino, per noi, per la città, per questa società»
di Annamaria
BRACCINI
Un invito a vivere e a non accontentarsi «di tirare avanti», con un’esistenza dal passato glorioso, ma dal presente «mediocre e traumatizzato» e dal futuro incerto. È questo che l’Arcivescovo, dalla sua cattedra, chiede alla Milano distratta, pronunciando un’omelia forte, che risveglia le coscienze e richiama al dovere di essere cittadini aperti, solidali, consapevoli, testimoni di una speranza più grande e più affidabile dell’aspettativa ingenua o generica di chi dice «tutto andrà bene». E questo proprio perché «sentiamo la responsabilità di vivere della speranza che si affida alla promessa: se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno».
I presenti in Cattedrale
La celebrazione del Corpus Domini ai tempi del virus, senza processione, con i fedeli riuniti in Duomo nel numero previsto dalle normative previste per la Fase2, con una piccola rappresentanza delle realtà normalmente presenti, come i membri delle Confraternite e degli Ordini cavallereschi, consacrati e consacrate, diaconi, i rappresentanti di associazioni pubbliche e del volontariato, dell’Università e delle istituzioni, le autorità militari e civili – in prima fila il sindaco Giuseppe Sala -, è comunque un momento intenso di riflessione attorno al Corpo del Signore. Concelebrano alcuni Vescovi, tra cui il vicario generale monsignor Franco Agnesi, il Consiglio episcopale milanese e i Canonici del Capitolo metropolitano. L’omelia è quasi un inno a Milano, fin dal suo titolo: «Vivi, terra benedetta da Dio, vivi della vita di Dio».
L’omelia dell’Arcivescovo
«Vivi, città vivace, creativa, solidale, accogliente, colta, operosa, Vivi con quel senso della misura e del realismo che sanno della vita, della sua grandezza e della sua fragilità, delle sue ombre e delle sue luci. Vivi nell’inquietudine di non essere mai soddisfatta, città con gente troppo ricca e gente troppo povera, offri ai ricchi il cruccio di come restituire, infondi nei poveri la fierezza di una vita degna».
E prosegue: «Vivi, città terra di questa Diocesi, e resisti alla morte, contrasta chi sparge semi di morte, chi avvelena i nostri giovani convincendoli che le dipendenze siano divertenti, che la droga e l’alcool siano le medicine di cui hanno bisogno per vincere la tristezza, la depressione, la solitudine, lo smarrimento, resisti alla stanchezza». Resistendo anche a quel disinteresse ripiegato su se stessi che suggerisce l’egoismo, la chiusura, mentre, seppure duramente provati, occorre scuotersi: «Incoraggia chi genera vita, offri casa alla famiglia, offri ai bambini le condizioni per crescere bene, insieme».
È per questa vita rinnovata – o, meglio, nuova – che è necessaria anche la conoscenza di ciò che siamo stati, suggerisce l’Arcivescovo, che cita San Carlo nel suo Memoriale dopo la tragedia della peste: «Conosci, Milano, riconosci che la tua vita, la tua gloria, la tua potenza, il tuo prestigio sono precari e insicuri se non trovano una radice più profonda delle tue qualità e delle tue risorse. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno, In questa tragedia che abbiamo condiviso e che continuiamo a soffrire, riceviamo la promessa di Gesù come una parola di speranza, come una rivelazione di sapienza, come l’indicazione di un cammino, per noi, per la città, per questa società».
E, infine, l’ascolto: «Dentro l’alluvione di parole che ti ha sommerso insieme con l’epidemia, c’è un silenzio che ti invita alla pace, c’è un sussurro di un vento leggero che ti chiama a prenderti il tempo di ascoltare, di domandare, di ascoltare le risposte. In questa confusione c’è la presenza di Dio e della sua promessa, la promessa della vita eterna. Questo vorremmo dire alla città distratta, alla città scoraggiata, alla città disperata, alla città smarrita: ascolta, Milano, la voce del Signore, la sua promessa, apri gli occhi per riconoscere la presenza sorprendente della provvidenza di Dio anche nelle tribolazioni. Questo vorremmo dire alla città dispersa, alla città sospettosa, alla città dove la gente teme l’incontro, dove la convivenza si è complicata, dove l’intesa è diventata più faticosa. Ascolta, Milano, la voce del Signore, che semina in te un principio di comunione, una vocazione all’incontro. Vorremmo dire: ascolta, Milano, il Signore c’è e ti parla e ti promette vita eterna; ascolta, Milano, e riconosci motivi per aver fiducia nella provvidenza; ascolta e ricevi grazia e forza perché dei molti si possa fare un unico popolo, un cuore solo e un’anima sola».
Le testimonianze
Quell’ unica “anima” che ha diverse e molte voci, appunto, tanti volti, come quelli delle tre preghiere-testimonianze, ispirate rispettivamente a l’Eucaristia memoriale della Pasqua, l’Eucaristia sacramento del suo amore ed Eucaristia pane del cammino, che si alternano tra le intercessioni e l’Adorazione personale del Santissimo, posto in altare maggiore nel tipico ostensorio ambrosiano a forma di tempietto.
«Il corpo sofferente, piagato e consumato di ogni fratello malato è il prolungamento del pane eucaristico, il Tuo corpo offerto sulla croce per tutti – dice don Giuseppe Scalvini, cappellano dell’Ircss Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico, anche a nome degli altri cappellani -. I malati sono i nostri signori e padroni, come diceva San Camillo de’ Lellis, perché il servizio prestato a loro è prestato a Te, Signore. In questo tempo abbiamo ricevuto esempio di donazione senza riserve da parte di coloro con i quali viviamo in ospedale: gesti che valgono più di tanti discorsi. La tenerezza è la chiave per comprendere; le attenzioni passano dal cuore alle mani con rispetto e amore. Libera i nostri gesti da quella mondanità che riduce il Vangelo a una storia commovente. Donaci la sapienza del cuore per capire ciò che abbiamo vissuto per poter vivere ciò che ci attende. Donaci di essere portatori di speranza, di crescere nella fede, affinché, anche nel dramma della malattia e della morte, sappiano scorgere la luce della Pasqua».
Serena Bassoni, medico in reparto Covid al San Carlo, che ha vissuto un periodo di sacrificio in quarantena lontano dalla famiglia, sottolinea con parole condivise dai suoi colleghi: «Molti di noi sono stati contagiati, altri ci hanno lasciato. Qualcuno è stato cosi straziato che si è tolto la vita o porta in sé piaghe profonde. Attraverso la cura dei fratelli, in questo uragano che ci ha travolto, veniamo a Te. Salva anche noi piccoli e frastornati. Fai sentire la Tua vicinanza a ciascuno: a chi sta soffrendo nel cuore e nello spirito. Ti ringraziamo per aver potuto partecipare al Tuo misterioso disegno di vita, concretizzando l’amore per il malato, soprattutto in questo periodo in cui la cura della persona è più importante di cure farmacologiche incerte. Ti ringraziamo perché abbiamo visto crescere forti come querce la collaborazione tra di noi e la solidarietà verso gli altri. Continua a nutrire questi alberi come doni che rimangano in noi per sempre. Abbiamo bisogno di crescere: donaci pazienza, resistenza, speranza, per assistere al meglio i nostri fratelli e servire Te in loro».
Lucia Ottani, mamma, nonna, già dirigente medico dell’Ufficio d’Igiene e ministro straordinario dell’Eucaristia con il marito Ambrogio, medico: «Per un mondo migliore e più sicuro abbiamo bisogno di tutti. Mantieni la benedizioni sui giovani e sugli sposi anziani. Accogli tutti i morti di questo periodo e donaci la speranza».